Chicchi di fiducia per volare
Francesco ricomincia in maglia Liquigas: "Dopo i primi tre anni da pro' non credevo più in me stesso. Adesso sì". "Conosco il punto debole di Petacchi: la testa"
La vittoria di Chicchi alla 4 giorni di Dunquerque. Afp
La vittoria di Chicchi alla 4 giorni di Dunquerque. Afp
MILANO, 17 novembre 2006 - Il Gran premio Beghelli, ai primi di ottobre, l’ha chiuso in gruppo. In fuga Francesco Chicchi, 25 anni, è andato subito dopo: non in bici, ma in aereo. Messico. Vacanza. "C’ero già stato nel 2002, ci sono voluto tornare. Con la mia fidanzata. In Messico c’è tutto e niente, i ricchissimi e i senzatetto, i grattacieli e i villaggi. Certe capanne che, da noi, durerebbero un giorno, invece là, a sentire le loro guide, stanno in piedi da 500 anni. In più il Messico ospita uragani. Succedono strane cose: un uragano ha distrutto un albergo e lasciato intatte le capanne". Sarà stato un uragano democratico.
- Chicchi, anche di lei dicevano che fosse un uragano.
"I primi tre anni da professionista senza una vittoria. Forse perché ho corso poco, forse perché era un mondo nuovo, di sicuro perché c’erano avversari più forti. Senza una vittoria anche per colpa mia. Una volta ho alzato le braccia e mi sono fatto fregare dal colpo di reni di McEwen, al Giro di Svizzera 2004. Ma nel 2006 ho vinto tre volte".
- La prima?
"Tappa al Giro delle Fiandre occidentali. Arrivo su uno strappo. Partiamo per fare la volata con Pozzato, poi lui mi dice "dai, prova anche tu", allora io ci provo. Primo io, terzo Pippo".
- La seconda?
"Quattro giorni di Dunquerque. La squadra lavora per me, vinco facile, due bici a Hushovd, e stavolta alzo le braccia tranquillo".
- La terza?
"Al Giro di Gran Bretagna. La vittoria più emozionante. Ci sono Boonen, Pozzato e Nuyens, tutti credono in me e si mettono a mia disposizione. Io li ripago vincendo".
- E lei in crede in se stesso?
"Dopo i primi tre anni non più. Adesso sì".
- Chicchi, professione?
"Scattista. Velocista è chi va via in progressione: Petacchi è il velocista perfetto. Invece scattista è chi sa rilanciare lo sprint: McEwen è l’esempio giusto".
- Caratteristiche dello scattista?
"Acrobazia, potenza, follia. Ad acrobazia vado bene: sono riuscito a fare un testacoda senza neanche cadere. Anche a potenza vado bene, ma devo ancora dimostrarlo ad alto livello".
- E a follia?
"Un giorno sfido Boonen. Un bicchiere lui, un bicchiere io. Roba forte. Verso io. Al decimo bicchiere Tom ammette "però, mica male". Al 20° chiede "ma come fate voi italiani?". Al trentesimo finisce al tappeto, ko. C’era il trucco: a lui versavo Cuba Libre, a me solo Coca-Cola".
- Dalla Quick Step-Innergetic alla Liquigas: perché?
"Innanzitutto mi scadeva il contratto. Poi alla Quick Step c’erano troppi campioni. Alla Liquigas chiedo il salto di qualità".
- Forse sono loro a chiederglielo.
"In Messico non ho preso neanche un chilo. Appena tornato, sono salito in bici. Settanta chilometri lungomare con il solito gruppo del mattino. Voglio partire forte, dimostrarmi grintoso, vincere subito, o almeno essere più presente".
- Per esempio?
"Mi piacerebbe cominciare al Giro del Qatar, poi disputare il Giro d’Italia".
- E con Petacchi, come la mettiamo?
"Conosco il suo punto debole. E’ la testa. Se gli dico "Ale, mi sembri un po’ ingrassato", lui non si dà pace, si tormenta, si macera, si logora. E magari perde la volata".