BOTTA&RISPOSTA con Yonnatta Monsalve

| 31/03/2011 | 08:34
Chi è Yonnatta Monsalve, giovane talento della Androni che ha vinto la prima gara a tappe di­sputata tra i professionisti?
«Un ragazzo timido, umile, che ama alla follia la sua famiglia: la sua bimba Brihana di un anno e cinque mesi, la sua compagna Cris­marly, mam­ma Yris e papà Yovanny. Uno che è sempre a casa alle dieci di sera anche quando non corre e, che a differenza di molti suoi coetanei, non adora uscire a far festa. Uno scalatore che ha anche un buono spunto veloce».
Quando hai iniziato a pedalare?
«Corro da quando ho dieci anni, la passione per le due ruote è di famiglia. Mio nonno, mio papà e mio zio hanno corso in Vene­zue­la; quasi tutti i miei parenti han­no praticato ciclismo, ma finora sono l’unico che è riuscito a far qualcosa fuori dal nostro paese».
Da quando corri in Italia?
«Dal 2009 con la Mastromarco, squadra a cui devo molto. Nei due anni passati a Lampo­recchio era come essere in una grande famiglia. Il direttore sportivo Giuseppe Di Fresco ha dato una grossa mano a me e Santoro (an­che lui alla Androni, ndr) per arrivare al professionismo».
Ti piace il nostro paese?
«Sì, ma il Venezuela rimane nel mio cuore perché lì si trovano tut­te le persone che amo. Torno a casa una volta ogni due mesi per combattere la nostalgia e per motivi di visto. Per fortuna da febbraio sono arrivate in Italia la mia compagna e la mia bimba, non ce la facevo proprio più a stare senza di loro. Quest’anno poi corre qui anche mio fratello Ralph, con il Team De Angeli».
Com’è scoprirsi ciclisti in Ve­nezuela?
«Da noi il ciclismo è popolare, ma non come il calcio e il baseball. Se vinci in patria sei uno dei tanti, se vinci in Europa diventi qualcuno».
Com’era la tua prima bici?
«Piccola e blu. Era molto alla buona, ma mi sembrava bellissima perché me l’ha regalata mio papà. A dire la verità, per quanto riguarda il ciclismo, mi ha sempre dato tutto mio papà. Ancora oggi mi aiuta con gli allenamenti, mi fa fare dietro macchina, mi prepara le cose da mangiare per quando devo uscire in bici. Per seguirmi al Tour de Langkawi insieme ai miei parenti stava sveglio di notte per vedere la corsa in streaming. Dopo la vittoria a Gen­ting Highlands ho chiamato subito a casa, lì erano le 3 e mezza di notte, erano tutti svegli ad aspettare la mia telefonata».
Cosa rappresenta nella tua vita il ciclismo?
«È tutto, è il bello, è quello che faccio nella vita, è la mia più grande passione».
E la salita?
«Una fatica che fa be­ne e che mi piace provare. Quan­do inizio una salita voglio essere coi mi­gliori, studio le mos­se degli altri e sferro l’at­tac­co in progressione, a volte mi va bene e vin­co».
Quale atleta vorresti imitare?
«Contador, è il mio ido­lo, mi pia­­ce come corre e vorrei arri­vare a vin­cere quello che ha vin­to lui».
La vittoria più bella?
«La tappa del Giro Un­d­er 23 dell’anno scorso con arrivo a Mastromarco, proprio in casa della mia squadra. Pri­mo e secondo, io e il mio compagno e amico Antonio Santoro. Una fa­vola».
Quella che ti è sfuggita?
«La generale del Girobio sempre dell’anno scorso: dovevo fare classifica, ma nella tappa del Monte Grappa per una crisi di fame e il freddo ho perso tutte le chance che avevo».
Cosa pensi di Rujano?
«Josè ha avuto troppa pressione, dopo il Giro del 2005 tutte le squadre lo volevano e non è riuscito a gestire la situazione, ha seguito solo l’interesse economico e si è un po’ perso. Credo che se fosse stato un altro anno con Savio avrebbe potuto ottenere risultati importanti; quest’anno, che è tornato all’Androni, sono convinto che possa arrivare nei cinque al Giro».
Non è da tutti vincere alla prima occasione una corsa a tappe…
«Il Tour de Langkawi è stato un sogno, ho vinto una corsa lunga e non facile, certo non paragonabile ai grandi giri, ma che mi da molto morale. Sono molto felice e soddisfatto per il mio esordio nella massima categoria».
Dopo quest’ottimo inizio, cosa ti aspetti?
«Di continuare a crescere  passo dopo passo. Tra due o tre anni, se tutto va bene, pen­serò al Gi­ro, anche per capire se potrò vincerne uno, un giorno».
Un sogno da atleta?
«Da sempre sogno di correre il Giro e il Tour, quando ero piccolo seguivo Pantani e Armstrong alla tv e sognavo di esser lì... E poi classiche come il Lom­bardia e la Liegi-Bastogne-Lie­gi...».
E come uomo?
«Avere un altro bimbo e sta­re bene con la mia famiglia».

di Giulia De Maio
da tuttoBICI di Marzo

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