L'inverno di Callegarin
"Sono un piccolo Bettini"

Il 28enne di Cuggiono è rinato lontano dall'Italia, ad Atlanta: "Corro per la Type 1, con altri atleti diabetici per non viverlo come un dramma. Obiettivi? Devo solo andare forte". Gli allenamenti in questo dicembre con il solito gruppo: Noè, che è il padre di tutti, Marzano, Bailetti, Colli, Girardi, Fumagalli

Daniele Callegarin, 28 anni.
Daniele Callegarin, 28 anni.

MILANO, 13 dicembre 2010 - Chi l’avrebbe mai detto. Che un giorno il ciclismo avrebbe avuto una delle sue capitali non da Coppi in cima a una collina, non a casa di Bartali alle porte di Firenze, e neanche nelle valli bergamasche patria di Gimondi, ma ad Atlanta, Georgia, Stati Uniti, la città del pacifista Martin Luther King, della cantante Gladys Knight, del regista Spike Lee, dell’attrice Julia Roberts, la città degli Hawks (basket) e dei Braves (baseball). E anche del Team Type 1, e del Team Type 2, insomma delle squadre americane diventate famose perché corrono con atleti diabetici.

Daniele Callegarin, l’avrebbe mai detto?
"No. Ma è una grande opportunità, e sono felice di poterla cogliere. La proposta mi è arrivata in settembre. Una telefonata di Massimo Podenzana. Non gli ho neppure lasciato il tempo di finire di spiegarmi e raccontarmi che gli ho risposto di sì".

Perché?
"Perché è un progetto, perché c’è un’idea, perché esiste un gruppo, perché ha una base. Perché sembra un’occasione in cui credere fino in fondo: correre per inseguire obiettivi di squadra e personali, ma anche obiettivi umanitari, collettivi, di tutti. Il diabete è un problema che si sta ingigantendo, dovunque, anche in Italia. Non viverlo come un dramma, ma lottando e curandosi, anche attraverso lo sport, è quasi una missione".

Daniele, due passi indietro: dilettante.
"Cinque anni nella San Pellegrino-Bottoli-Artoni. E una decina di vittorie, fra cui la Milano-Rapallo, una classica, più di 200 km. Finale nervoso, a strappi, gruppo ristretto, 7-8 corridori, volata e vittoria. Quel genere di corse e di finali che continuano a fare per me".

Un passo indietro: professionista.
"Passato grazie a Davide Boifava. Prima nell’Androni, poi diventata Lpr, poi rimasto fuori quando è diventata Tenax. Sorpreso, deluso, frustrato. Ripescato grazie a Primo Franchini. Nella Centri della calzatura: due anni e mezzo, e due vittorie".

La prima?
"A Larciano. Gara dura, il San Baronto da fare cinque volte, una trentina in volata con la strada leggermente a salire".

E la seconda?
"In Polonia, il Giro della Solidarietà, la prima di tre tappe. Circuito nervoso, uno strappo di un km da fare tre volte, rimasti in una decina, prima della volata doppiamo dei ritardatari, c’è anche un mio compagno, per incoraggiarmi quasi mi insulta, scatto e vinco".

Callegarin, 1° al Gp Industria e Artigianato 2009. Bettini
Callegarin, 1° al Gp Industria e Artigianato 2009. Bettini

Poi?
"Quest’anno niente di che. C’erano state promesse, programmi, progetti... Invece abbiamo corso poco, a sprazzi, a lampi. Neanche il tempo di entrare in forma, che ti fermavi. Ma è quello che succede nel ciclismo delle squadre Continental, tenute ai margini dell’attività".

Adesso?
"Il Team Type 1 è Professional, e non vedevo l’ora di poter aderire anch’io al passaporto biologico, altrimenti sarei rimasto emarginato, penalizzato. Ben vengano i controlli: così potrò finalmente dimostrare i miei valori, e il mio valore".

Callegarin, ma lei che corridore è?
"Non prendetemi in giro se dico che sono un piccolo Bettini. Le stesse caratteristiche — un po’ di tutto, dallo scatto alla grinta, dalla velocità al coraggio — anche se rapportate da 1 a 10. Per questo, se chiudo gli occhi, sogno la Milano-Sanremo, o la Parigi-Roubaix, comunque le corse di un giorno. Il Giro no, e quello del 2011 ancora meno: le salite non mi mancano".

"Per la bici ho trascurato anche la scuola e in questo caso ho fatto male"

Possiamo dire che sarà l’anno della verità?
"Non mi concedo più scuse né alibi. Sesto anno da professionista, squadra americana, categoria Professional, calendario importante, attività regolare. Non mi fisso limiti né obiettivi: devo solo andare forte. La bici è sempre stata una passione, per la bici ho trascurato tutto, anche la scuola, e qui ho fatto male. Frequentavo un istituto professionale, a 16 anni mi sono trovato davanti al primo bivio, i miei genitori mi hanno lasciato libero di scegliere, e io ho scelto il ciclismo. Ufficialmente sono operatore tecnico di sistemi energetici, praticamente sono ciclista, ma se lo scrivo sulla carta d’identità tutti pensano che sia meccanico di biciclette".

Ricominciati gli allenamenti?
"Da metà novembre. Palestra e bici. Con il solito gruppo: Noè, che è il padre di tutti, Marzano, che fa i compiti anche a casa, Bailetti, Colli, Girardi, Fumagalli... Il punto d’incontro è Gallarate. Basso abita a 3 km da lì, ma lo vediamo solo in tv".

"Pedaliamo sul Lago Maggiore, obbligo sosta ...come i camionisti"

Rituali di gruppo?
"O Lago Maggiore o Varesotto. Decisione alla unanimità, strade a memoria, obbligo sosta, come i camionisti, ogni due o tre ore, dove capita. Bailetti esce di casa con i soldi contati, in monetine, per evitare di pagare a tutti. Meno male che a pagare ci sono gli amatori che si uniscono alla compagnia. Il più generoso è un tassista aeroportuale".

Rituali personali?
"Non ho navigatore: vado a naso. Non ho Srm, non ho Garmin, al massimo tengo su il cardiofrequenzimetro. Preferisco ancora le sensazioni. Noi tutti andiamo a sensazioni: quelle che ti danno il tempo, il traffico, e le gambe. In corsa ho una piccola ossessione: la chiusura delle ruote. Non che non mi fidi del lavoro dei meccanici, ma ormai è un gesto a metà fra la scaramanzia e la cerimonia: riapro e richiudo".

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Callegarin, il bello del ciclismo?
"Tutto. La strada, i paesaggi, la natura. Il gruppo: il suo non è un odore ma un profumo, non è un rumore ma una musica. Trovo bello perfino il mal di gambe. Quando ero senza squadra, sono andato a vedere una corsa dalle mie parti, a Buscate. E i corridori, a tutta, avevano facce stravolte, sofferenti, sfinite. Bellissime".

Lei ha un motto?
"Ne avevo uno, ’I have a dream’, ho un sogno. Il celebre discorso di Martin Luther King. Che era di Atlanta. E adesso io corro per una squadra che ha base proprio lì. Chi l’avrebbe mai detto".

Marco Pastonesi© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sassi's lesson for cycling "It's possible to win without doping"read this article in English

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