L'inverno dei corridori
Le vette di Malacarne

Il 23enne talento di Feltre, passato dal ciclocross alla strada, ama le Dolomiti, la natura, le salite e...i risotti. Dopo due anni nei professionisti e tante traversie fisiche, adesso spera di poter correre sereno "per capire fin dove può sognare"

Davide Malacarne, 23 anni, passato dal ciclocross alla strada
Davide Malacarne, 23 anni, passato dal ciclocross alla strada

Hanno staccato la spina. Riposano, recuperano, si restituiscono alla vita — la vita normale — di tutti i giorni. C’è chi va in vacanza e chi rimane a casa, c’è chi va ancora in bici e chi va già in bici, c’è chi sogna e chi progetta. Corridori d’inverno: tutti a casa. Stavolta tocca a DavideMalacarne.

serve tempo — Talento. Promessa. Emergente. Campioncino. O più semplicemente: corridore vero. Di Davide Malacarne si diceva "vedrai", "lascialo fare", "dategli tempo". Sono passati due anni da quando ha esordito nel professionismo. Ma al ragazzo di Feltre, campione d’Italia e del mondo di ciclocross nel 2005, vincitore di classiche su strada per dilettanti, bisogna dare ancora un po’ di tempo. Ha solo 23 anni.

Davide, ci racconti il suo primo anno, il 2009.
"Cominciato bene, prima con i migliori alla Challange di Maiorca, poi in corse minori in Belgio. Ho fatto anche il Giro d’Italia, e per un debuttante è già un onore. La grande occasione al Giro di Turchia: alla fine secondo nella classifica generale a un solo secondo dal sudafricano Daryl Impey. Il finale della corsa è diventato famoso perché Impey era stato tirato giù in volata dall’olandese Theo Bos, in modi - diciamo - poco eleganti".

Indimenticabile.
"Poi un bel finale di stagione: mai fuori dai 20 nelle ultime 20 corse. Così ho cominciato il 2010 pieno di speranze. All’inizio andavo forte, prima al Catalogna, poi ai Paesi Baschi. Al Catalogna ho anche vinto una tappa, dopo una fuga eterna. E con quella fiducia, e con quella grinta, e anche con quella vittoria, sono tornato in Belgio. Ma lì è cominciato il mio calvario".

Perché?
"Alla Freccia del Brabante, mentre stavo rientrando da una foratura, un’ammiraglia ha improvvisamente frenato, e non sono riuscito a schivarla. Risultato: sono andato giù di peso, con tutte e due le braccia, frattura del capitello radiale destro e frattura dello scafoide sinistro. Ospedale, operazione, gesso. E addio Nord: né Fiandre né Liegi, e neanche Giro d’Italia, come invece avrei voluto".

"Amo la natura, camminare in montagna, anche con la neve e le ciaspole, correre in pianura e sciare. Sono contrario al lavoro in palestra, non mi ci trovo bene, è come se mi mancasse l'aria"

E poi?
"Proprio gli ultimi giorni del Giro sono risalito in bici. E quando finalmente ricominciavo a pedalare come si deve, mi ha assalito la mononucleosi, una ricaduta misteriosa, incomprensibile, rarissima. E maledettamente lunga. Ci ho corso su perché neppure sapevo di averla. Con la mononucleosi ho fatto la Vuelta, ma senza riuscire mai a esprimermi".

Così adesso?
"Il virus è sparito e spero solo di non avere altri guai. Vorrei correre innanzitutto per studiarmi, capirmi, poter dire che tipo di corridore sono, fin dove posso sognare. Intorno a me sento fiducia, e questo mi tranquillizza".

Intanto ha ricominciato?
"Sono contrario al lavoro in palestra. Non mi ci trovo bene, è come se mi mancasse l’aria. L’ho fatta solo un anno, ma perché ero rimasto a lungo fermo. Preferisco la natura: camminare in montagna, correre in pianura, sciare. Dipende dal tempo: sento il bollettino meteo e poi mi regolo. Se nevica, l’ideale è camminare, a piedi o con le ciaspole, qualche volta anche con i bastoncini, quindi un’oretta sui rulli ad alta frequenza o una sgambatina su strada. Se non nevica, corro a piedi per trequarti d’ora, magari con qualche strappettino, a una frequenza cradiaca non alta, poi di nuovo bici".

Altri sport?
"Il nuoto sarebbe utile, ma in piscina è già un miracolo se rimango a galla. Mi piacerebbe giocare a calcio, ma sono tanti anni che non lo faccio più. Meglio lo sci: fondo sì, discesa no, non perché non sia capace, anzi, ma perché il rischio di cadute è forte, e non me lo posso permettere".

E il suo primo amore, il ciclocross?
"Quattro anni fa ho detto basta, e non sono più tornato indietro. C’è chi mi rimpiange, e non so se essere contento perché significa che ho lasciato buoni ricordi o se farmi prendere dalla nostalgia. La verità è che il ciclocross, in Italia, non ha lo stesso seguito che vanta in Belgio. Là si può vivere di ciclocross, qui no. Peccato".

Si potrebbero fare strada e cross, insieme?
"Sì, anche perché le stagioni non si sovrappongono, ma si alternano. Magari un giorno tornerò anche a fare qualche corsa, ma per il gusto, il piacere, il divertimento, non per vincere. Il ciclocross sarà anche una disciplina povera, ma è molto esigente".

"Conosco a memoria le Dolomiti, ogni anno vado in ritiro sulla Marmolada, al Passo Fedaia: si dorme in un rifugio a 2 mila metri, si fa vita antica, anche i telefonini faticano a prendere. Due settimane così e torno come nuovo"

Il bello del cross?
"Il contatto con la gente: ti sta addosso, la senti respirare, parlare, urlare. Poi le mille insidie dei percorsi: puoi andare bici in spalla o in discesa nel bosco, arrampicarti su uno strappetto o volare nel fango".

Il brutto?
"La sabbia. Come se fossero sabbie mobili: si attacca, si avvinghia, e tira giù. In quei casi, o riesci a trovare una traiettoria già tracciata, o affondi. Comunque devi saper guidare la bici da acrobata".

Il bello della strada?
"Ci sono dei momenti - ma sono rari - in cui godi paesaggi fantastici. E poi le montagne. Quest’anno, alla Vuelta, ho fatto i Laghi di Covadonga. Era una vita che sognavo quella salita. Pioveva e faceva freddo, pedalavamo nelle nuvole, ma dentro sentivo un fuoco che mi spingeva su. E il giorno in cui farò il Mont Ventoux, sarò felice".

Lei è dolomitico.
"Abito a Feltre, e i Monti Pallidi sono a portata di bici. Le Dolomiti le conosco a memoria. E ogni anno vado in ritiro sulla Marmolada, al Passo Fedaia. Si dorme in un rifugio, stanze singole o doppie, a quota 2 mila, aria sottile, spese mie. C’è sempre qualche altro corridore. E si fa vita antica: il pomeriggio si prende il tè e gioca a carte, la sera si cena e si chiacchiera. Insomma, niente playstation. E anche i telefonini fanno fatica a prendere. Due settimane così e torno come nuovo".

Davide, se non avesse fatto il corridore?
"Mai avuto dubbi. Anche per questo a scuola ho mollato troppo presto. Solo ora mi accorgo che avrei potuto fare di più. Vorrà dire che mi dedicherò alla cucina: sono il re dei risotti, il classico con radicchio e salsiccia, ma il mio forte sono gli esperimenti, prendo quello che c’è nella credenza, mischio e invento. Risotto e un bicchiere di rosso. Sto pensando di fare un corso di enologia. A 10 km da me c’è la zona del Prosecco doc. Bruseghin e io potremmo dividerci i compiti: lui ci mette il suo Prosecco, e io lo assaggio".

Marco Pastonesi© RIPRODUZIONE RISERVATA

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