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Bellin e la scelta a due ruote

Giovane e ambizioso, come la Lpr, Maurizio Bellin racconta la sua passione: "Da quando correvo da esordiente non mi sono più fermato, nemmeno quando ho dovuto scegliere tra università e ciclismo"

Maurizio Bellin, 25 anni, è nato a Somma Lombarda
Maurizio Bellin, 25 anni, è nato a Somma Lombarda
MILANO, 13 dicembre 2007 - Il vecchio che si chiamava Santiago, che era magro e scarno e aveva rughe profonde alla nuca, e che non pescava un pesce da 84 giorni. Il giovane che si chiamava Manolo, che ogni mattina faceva visita al vecchio, e che alla fine pescò un pesce Magoo. E il mare, che era tropicale, mai banale, semmai fatale. Maurizio Bellin sta leggendo "Il vecchio e il mare" di Ernest Hemingway. Diciamo la verità: infinitamente meglio di un articolo di Marco Pastonesi sulla "Gazzetta dello Sport", anche se presto gli toccherà digerire pure questo. Bellin, la partenza? "Mio padre Valentino. Amava la bici, correva da amatore, e anche se è morto quando avevo solo due anni, l’amore per il ciclismo me l’ha trasmesso lui. E poi mia madre Leonia. Quando è morto mio padre, si è fatta in quattro: tre lavori e la famiglia. Lavorava a un asilo-nido, stirava e faceva la pulizie in un’altra casa, poi si dedicava a mia sorella Georgia e a me. Una vita da gregario".
Poi?
"Ho cominciato a correre a sei anni, ma a otto avevo già smesso. Mia madre non aveva il tempo per accompagnarmi e seguirmi. Ho ricominciato da esordiente, quando ad accompagnarmi e seguirmi ci pensava una squadra. Da allora non ho più smesso. Neanche quando ho dovuto scegliere tra università e ciclismo. Ho chiesto il permesso a mia madre, ed è stato ciclismo".
Passista veloce, vero?
"Suona bene, ma è una mezza fregatura. Non abbastanza veloce per essere velocista, non abbastanza leggero per essere scalatore, non abbastanza fondista per essere cronoman. Ma abbastanza veloce, leggero e fondista per essere un buon uomo-squadra. Passato professionista, all’inizio del 2006, non mi sono mai risparmiato nell’aiutare i compagni. Qualcuno mi ha detto: se tu non avessi esagerato in lealtà, se tu fossi stato più egoista, se tu avessi pensato di più ai risultati".
Già: risultati?
"Se si guardano solo i risultati, ho combinato poco. Ma nel ciclismo c’è dell’altro, per esempio la stima del team manager, del direttore sportivo e, appunto, dei compagni. Comunque, nel 2006 un quarto e un settimo posto in Messico al Tour di Chihuahua, e un undicesimo al Giro della provincia di Lucca. E nel 2006 un settimo posto alla Ronde van Drenthe. La chiamano la Roubaix olandese: una quarantina di chilometri di pavè, e poi gente, cielo, polvere, sei in fuga davanti, e io che ho vinto la volata del gruppetto inseguitore. Ho ottenuto anche un tredicesimo posto nella classifica finale del Tour du Picardie: quinto fino all’ultima tappa, poi sono caduto, e con me sono cadute anche le speranze di un podio".
E quel Chihuahua?
"Partito prevenuto, tornato felice. Un viaggio fantastico: si correva per metà nel deserto, per metà in altura, tra sperduti villaggi di "campesinos". Ma l’organizzazione era ottima, con alberghi a cinque stelle e una piscina, e un lotto di partecipanti all’altezza, quattro squadre europee più canadesi e americane. C’erano anche i cactus e i cani dela razza Chihuahua, quelli piccoletti, che morsicano quando si spaventano, e celebrati con monumenti come se fossero eroi".
E il 2008?
"La Lpr-Androni si è fusa con la Tenax, il mio contratto in scadenza è scaduto. Ho trovato un posto nella neonata Katay: team manager Iacovozzi, direttore sportivo Salutini, fra i corridori Callegarin, Rizza, Quadranti e Zampilli. Ingaggio per un anno, poi si vedrà. Penso positivo: sono ancora fra i professionisti in un periodo difficile, non pago per correre ma corro per essere pagato. E trovo del positivo anche se penso negativo: c’è un posto di lavoro all’Androni che mi aspetta, e non da corridore".
Le dispiacerebbe?
"Da matti. Ma, siccome sono ragioniere, cerco di ragionare. Nel ciclismo il mercato è in grossa difficoltà, paga 10 anni — dal caso Festina all’Operacion Puerto — in cui ha perso potere e credibilità. Ho letto che nel 2002 era al secondo posto per sponsorizzazioni dietro al calcio, adesso è dietro anche a golf e pallavolo. La vedo come una piramide che sprofonda: i campioni si devono accontentare di guadagnare un po’ meno, gli altri di sopravvivere, ma la base sparisce".
Che fare?
"Continuo con i miei principi: andare avanti soltanto con la forza delle mie gambe. E se è poca rispetto a quella degli altri, pazienza. Ma, credetemi, quanto a pulizia, il ciclismo sta facendo passi da gigante: se avessi un figlio innamorato della bici, non avrei nessun dubbio e lo aiuterei a correre. Però la gente al bar ancora non lo sa che il vento è cambiato".
Lei si allena anche con Basso.
"Siamo un bel gruppo: Noè che detta percorsi e ritmi, poi Bailetti, Marzano, Callegarin, Andriotto, Nardello, Wegelius... C’è anche Basso. Mi consiglia come allenarmi, mi spiega quando riposare, mi ha trovato perfino uno sponsor tecnico per le scarpe".

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