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Pierfelici, ma non troppo

Il marchigiano, rivelazione della Coppi & Bartali, è in attesa di una convocazione: "Mi sono sempre allenato come se dovessi correre. Ma il contratto per il 2008 non ce l’ho, e mi viene un nervoso, e un magone, che metà basta"

Luca Pierfelici, 24 anni, sul podio della Coppi e Bartali. Sirotti
Luca Pierfelici, 24 anni, sul podio della Coppi e Bartali. Sirotti
MILANO, 24 novembre 2007 - Alla Coppi & Bartali avrebbero dovuto mettere un fiocco azzurro: durante quella settimana era nato un corridore. Aveva 23 anni, disputava la sua seconda stagione da professionista, e per i giornalisti - sottoscritto compreso - era solo un nome e cognome, se non addirittura tre nomi: Luca Pierfelici. Invece...
- Com’è andata?
"Prima semitappa, diluvio universale, fuga a tre, spendo tanto, spendo tutto, vince Alessandro Bertolini, io terzo. Migliore piazzamento della carriera. Seconda semitappa, cronosquadre, ci diamo dentro, secondo in classifica dietro al russo Brutt. Il giorno dopo c’è la tappa di Faenza: vince Scarponi, io nel secondo gruppetto, all’arrivo neanche mi fermo, proseguo per il pullman e la doccia. Mi chiamano per radio: "Hai la maglia, vieni sul podio". Non ci credo, "mi state prendendo in giro" gli dico".
- Poi?
"Difendo la maglia con i denti. Ultima tappa: in programma una salita da ripetere tre volte. La sera prima vado a vederla in macchina: impressionante. Mi dico: altro che tenere la maglia, qui ci muoio. Per farla breve: primo Riccò, secondo Scarponi, e nel gruppetto inseguitore ci sono anch’io. Classifica finale: Scarponi vince la classifica, io terzo".
- Bravo, no?
"E pensare che non dovevo neanche correrla, sono stato inserito in squadra solo all’ultimo momento. Comunque, si va avanti. Alla Settimana Lombarda faccio 3° nella tappa più dura e quarto nella generale a 2" dal secondo posto. Al Memorial Pantani sono nono, al Toscana e a Larciano finisco con i primi, salto il Giro d’Italia perché la squadra non è invitata, al Giro di Slovenia mi piazzo nella seconda tappa, sono 7° o 8° in classifica quando, a due giorni dalla fine, mi assale una febbre da cavallo e devo ritirarmi. Poi corro il campionato italiano: cado e abbandono. E’ l’ultima corsa della mia stagione".
- Perché?
"Squadra fermata per inadempienze contrattuali. Sponsor che non pagano, corridori che non guadagnano. Beghe legali. Sono uno dei pochi che non ha fatto causa alla squadra sperando che, alla fine, la situazione potesse risolversi e io tornare a correre. Invece niente. Nel 2007 ho ricevuto due stipendi dalla squadra e quattro per la fideiussione bancaria. Stop".
- E adesso?
"Mi sono sempre allenato come se dovessi correre. Ma il contratto per il 2008 non ce l’ho, e mi viene un nervoso, e un magone, che metà basta. Il procuratore mi dice di stare tranquillo, ma i giorni passano, il nervoso cresce, e il magone pure».
- Questo mondo le piace così tanto?
"E’ il mio mondo. Ho cominciato ad andare in bici a 5 anni, e ho fatto tutte le categorie fino al professionismo. Lei non ha idea di che cosa significhi mettersi il numero, andare alla partenza, arrivare agli ultimi chilometri con i primi e avere la possibilità di giocarsela. Non ha idea di quanto sia bello capire di poter fare questo mestiere. Lei non ha neanche l’idea di cosa voglia dire raggiungere i propri limiti e poi, quasi miracolosamente, superarli, o spingerli più in là, recuperando forze nascoste ed energie ignote".
- Il bello del ciclismo?
"Sport di fatica. Alla gente piace la fatica, piace vedere i corridori a 2 centimetri di distanza, piace incitare i primi e anche gli ultimi. Vede, i calciatori se la tirano, i corridori no, sono persone di strada. Con i corridori ci puoi sempre parlare: alla partenza, all’arrivo, alla doccia. Li prendi dove ti pare".
- E il bello delle corse?
"Sono battaglie, a volte guerre. Lo sono anche le corse minori. Perché se un campione partecipa per allenarsi, gli altri, come me, corrono per dimostrare di essere corridori. Dopo la Coppi & Bartali volevo provare di non essere solo un fuoco di paglia, ma almeno un falò, se non proprio un incendio. E allora dai sempre il massimo".
- Ora che cosa fa?
"Tre volte la settimana vado in palestra - potenziamento delle gambe, addominali e stretching a volontà - e subito dopo in bici, altre tre volte la settimana in bici, magari una volta, soprattutto se piove, vado in piscina. Di questi tempi in bici non forzo: non vado a cercare le salite, faccio solo quelle che vengono a cercare me. Da queste parti ce ne sono di dure e durissime. Come il Cippo. Sta sopra il Carpegna. E’ una mulattiera, con due o tre chilometri al 20 per cento, asfalto ma vecchio, rugoso, crepato. Un calvario. Ogni tornante è come il capitolo di un romanzo. Lassù ci andava Pantani".
- E nel tempo libero?
"Me ne rimane poco. Riposo, sto in famiglia, guardo qualche film, esco con la mia ragazza, poi navigo su Internet, clicco sui siti del ciclismo, leggo tutto, e soprattutto cerco novità del ciclomercato. Sogno di leggerci il mio nome".

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