ANDREA TAFI, IL “GLADIATORE” CONTRO IL CORONAVIRUS.

INTERVISTA | 26/03/2020 | 07:40
di Stefano Fiori

La storia vuole che per Andrea Tafi, il pittoresco soprannome de Il Gladiatore” venne coniato (conio da attribuire ad Alessandro Brambilla, speaker della manifestazione) dopo la strepitosa vittoria ottenuta a Peccioli nella Coppa Sabatini, sul finire della stagione agonistica 1997. Un successo fortemente cercato con rabbiosi e reiterati attacchi, che mostrò nel modo più esauriente il carattere combattivo e la forza mentale di questo poderoso atleta nato a Fucecchio il sette maggio di 53 anni fa. Professionista dal 1988 al 2005, con un bilancio di 30 vittorie di peso, tra le quali spiccano la Parigi-Roubaix 1999, la sua gara prediletta con all'attivo 13 partecipazioni, un 2°, un 3° e un 5°posto, il Giro delle Fiandre, il Giro di Lombardia e la Rochester Classic. Vinse anche, curiosamente, tutte le Classiche con partenza da Parigi: oltre alla già menzionata Roubaix - che gli valse l'ovazione del pubblico francese quando entrò nel velodromo per l'ultima volta nel 2005, l'anno del suo ritiro- anche la Parigi-Tours e la Parigi-Bruxelles. Ma i tempi e le situazioni cambiano, così Andrea si è reinventato uomo immagine e imprenditore nel settore turistico, insieme alla moglie Gloria e ai figli Tommaso e Greta, inaugurando anni addietro lo splendido agriturismo de Il Borghetto alle porte di Lamporecchio, frequentato da una selezionata clientela estera e da tanti amici ex-corridori, primo fra tutti Erik Zabel. Allo stesso tempo, poiché il gladiatore perde il pelo ma non il vizio, Tafi si è cimentato nuovamente nelle gare ciclistiche, ma amatoriali, ottenendo agevolmente vittorie in serie. Come il Gladiatore stia vivendo l'emergenza ai tempi del coronavirus ce lo spiega in questa intervista.


Dove stai trascorrendo questo periodo di isolamento forzato?
«Ovviamente nella nostra villa alle porte di Lamporecchio, dove condividiamo le giornate io, mia moglie Gloria e nostro figlio Tommaso, mentre nostra figlia Greta è purtroppo bloccata a Lugano, in Svizzera, dove si trovano anche alcuni noti ciclisti italiani».


Come reagite alla minaccia del coronavirus?
«Cercando di essere realisti, di non farsi prendere dall'ansia e dalla depressione, anche se non è facile poiché questo dannato virus colpisce chiunque e a qualunque età: ormai si è capito che non riguarda solo gli anziani».

Ci sono già e ci saranno inevitabili strascichi a livello economico, cosa ne pensi?
«Ormai il problema è a livello mondiale, come questa pandemia. Il turismo è pressoché azzerato e anche per il nostro agriturismo de Il Borghetto abbiamo riscontrato un calo di prenotazioni e di presenze attorno all'80%. Se continua così è inevitabile un crollo del settore, l'unica speranza è che ci si dovrà risollevare tutti insieme, quindi nessuno Stato dovrà essere abbandonato a sé stesso e gli aiuti economici dovranno interessare ogni settore lavorativo».

Per l'Italia cosa prevedi?
«Ritengo che, una volta superata l'emergenza, saremo tra i più decisi nel ripartire. Gli italiani hanno fatto la storia del mondo e  hanno sempre dimostrato di possedere una marcia in più, politica permettendo. Ci siamo rimessi in piedi da situazioni disperate, come ci raccontavano i nostri nonni e i genitori».

Ma il ciclismo com'è messo?
«Maluccio. Ci siamo fermati troppo tardi. La Parigi-Nizza, ad esempio e non solo secondo me, non si doveva correre, vedremo se ci saranno dlle conseguenze. Poi c'è il problema dei cicloamatori che continuano ad uscire in allenamento, nemmeno dovessero correre il Giro d'Italia. Sono comportamenti da punire duramente, anche perché viene messa a repentaglio la salute di altre persone. Pensate se poi  qualche ciclista subisse un incidente grave, con gli ospedali in terribile sofferenza dei nostri giorni. Personalmente mi alleno sui rulli e insieme ad alcuni amici facciamo gare a sei per volta, ogni sera e per almeno un'ora su Messenger: ci divertiamo molto e volano pure gli sfottò. Intanto ieri ho contattato un caro amico di Bergamo, che si è esibito sui rulli nella corte di casa sua. Mi sono commosso poiché sono molto legato alla Lombardia, la regione dove ho vinto il campionato italiano e il Giro di Lombardia, perciò soffro enormemente per quanto sta accadendo in quella parte dell'Italia».

In definitiva cosa ti senti di consigliare alle persone, in questo tragico frangente?
«Il consiglio è scontato, di stare in casa, di non mettere a repentaglio la propria e l'altrui salute. In questi giorni mi rassegno a fare del giardinaggio e i già citati rulli, però nella testa ho tanti pensieri positivi. Dalle disfatte si torna più forti di prima e questo è l'insegnamento principale che percepisce chi pratica il ciclismo, uno sport che è un susseguirsi infinito di cadute e risalite. Bisognerà però essere uniti per affrontare con coraggio i difficili mesi che ci attendono, consapevoli che alla fine la vittoria non potrà mancare».

da Il Tirreno

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