CROSS. Francesca Baroni, una ragazza che si esprime a pedali

INTERVISTA | 12/01/2016 | 08:27

Francesca Baroni è una ragazza speciale anche se si definisce una “giovane come tante”. È speciale proprio per questo e tosta come poche, ne ha dato prova domenica scorsa. La nuova Campionessa Italiana Junior, sorda dalla nascita, ci racconta la sua passione per il ciclismo e il suo pedalare in silenzio ma fortissimo. Al Monte Prat la 16enne toscana in forza alla Melavì Focus Bike Team dopo un'emozionante testa a testa ha battuto la favorita di casa Sara Casasola regalando una grande gioia a tanti. Conosciamola meglio.


Raccontaci un po’ di te… 


«Abito a Bozzano, un paese a metà strada tra le città di Lucca e Viareggio, in Toscana. Vivo con mio papà, Luca, e mia mamma, Alessandra, i miei primi due tifosi. Frequento il terzo anno dell’Istituto di Ragioneria e a scuola ho sempre ottenuto dei buoni risultati. Di tempo libero ne ho poco, la scuola e la bici impegnano quasi tutte le mie giornate, nei pochi momenti che mi rimangono liberi mi piace leggere libri, guardare la tv e, appena possibile, dormire».

Da quanto corri? 

«Dall'età di sei anni (G1), la mia passione per la bici è nata in conseguenza ad un mio "innamoramento" di Ivan Basso, l'anno che ha vinto il Giro d'Italia, lui ne è consapevole e per mia fortuna sono riuscita anche ad instaurare con lui un piccolo rapporto di amicizia, grazie alla sua disponibilità. Pratico mtb, cross e quando capita anche strada, visto che è la disciplina con cui ho iniziato. La mia preferita è il ciclocross, forse perché tra le tre è la più "maschia", si corre con tutti i tipi di clima e di terreni. Della mtb amo specialmente le ripide discese, un po’ meno le dure salite... ma per arrivare alla discesa purtroppo si deve affrontare la salita (sorride, ndr). La strada mi ricorda i miei inizi e ogni tanto mi fa piacere partecipare a qualche gara. Per divertimento ho imparato ad andare anche con il monociclo...».

Cosa rappresenta per te la bici? 

«È parte fondamentale della mia vita. Con le corse mi metto in gioco, mi piacciono le sfide più con me che con le avversarie, ogni volta cerco sempre di fare meglio e anche se poi tutto non va sempre bene, alla fine cerco di essere soddisfatta e non mi attacco mai a scuse varie... In questi anni poi ho conosciuto anche un sacco di persone e nuovi amici. Il mio campione del cuore come detto è Ivan Basso, ultimamente mi piace molto anche Peter Sagan, è un pazzo con la bici e a lui mi sono ispirata per imparare ad impennare (cosa che ora riesco a fare anche con una mano sola!). A livello femminile ammiro molto Eva Lechner, Marianne Vos e Pauline Ferrand Prevot, perché sono cicliste complete che praticano tutte le specialità».

E questo titolo tricolore che valore ha? 

«Essendo il mio primo è veramente molto importante. Sono contentissima di averlo ottenuto, c'ero arrivata spesso vicino ma questa volta per mia fortuna sono riuscita a centrarlo. Lo considero però un punto di partenza e non di arrivo, staremo a vedere cosa succederà strada facendo».

Come gestisci la tua disabilità nella vita di tutti i giorni e nel mondo delle due ruote? 

«Io mi sento una ragazza come le altre e non mi vedo disabile. Non ho esigenze particolari, ho bisogno che le persone mi parlino dal davanti, visto che faccio la lettura labiale e nel mondo della bici l'unico accorgimento importante è il "via con la mano" da parte dei giudici alla partenza perché non sento il fischio, per il resto ormai sono abituata a cavarmela da sola. In allenamento su strada non ho paura perché percepisco i rumori attraverso le vibrazioni e sfruttando il mio residuo uditivo con le protesi, ci vado da sempre e per me è normale così. Per i consigli in gara basta uno sguardo o un gesto da parte di chi mi segue per capire come sto andando».

La tua vittoria è un bel segnale per tanti ragazzi e ragazze che hanno dei problemi fisici e temono di non poter avere una vita appagante come i loro coetanei, ti senti di dire loro qualcosa? 

«Non mi sento di dare consigli a nessuno, l'unica cosa che posso dire è: “Non mollare mai fino alla fine!”. Me l’hanno sempre insegnato i miei genitori».

Quali sono i prossimi traguardi che vorresti raggiungere? 

«Come penso sia per tutti i corridori, il mio sogno è riuscire ad indossare la maglia della nazionale e partecipare a gare di livello mondiale, ma non mi monto la testa e spero che i risultati mi aiutino in questo. Come mi immagino da grande? Non saprei, di certo in bici».

intervista a cura di Giulia De Maio

foto Michele Mondini

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COMMENTI
Bell'articolo
12 gennaio 2016 12:20 geo
Ottimo articolo, bellissima storia: un appunto al redattore: non è carino e forse poco preciso scrivere "sorda dalla nascita". Forse meglio scrivere: "non udente dalla nascita". Ma certo è un dettaglio

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