L'ORA DEL PASTO. IL TOUR DEL BETTO

INTERVISTA | 14/07/2016 | 08:11
Abbronzatura più da mare che da bicicletta. Un blitz prima di andare a prendere sua figlia. Paolo Bettini a Pontedera, Villa Crastan, ieri sera, alla presentazione del libro “Cesare Del Cancia – lo spavento degli assi” (di Massimo Pratali, CLD Libri, 254 pagine, 28 euro).

Bettini, il Tour?
“Bello, divertente, ricco. Ogni giorno una storia da raccontare, un’avventura da godere”.

Froome?
“A cominciare da lui. Non finisce di sorprenderci. Sui Pirenei: tutti che lo aspettano in salita, e lui che li sorprende in discesa. E in pianura: tutti che stanno nella pancia del gruppo, e lui che approfitta di un ventaglio e perde in volata da Sagan. Con tanto di maglia gialla”.

Nibali?
“Si sta divertendo. Certe volte sembra quasi che stia giocando. La verità è che Vincenzo si sta preparando per l’Olimpiade come facevo io prima dei Mondiali. Un giorno fai la tappa, un altro ti riposi. Un giorno aiuti il capitano, un altro ti godi la libertà. Un giorno ci dai dentro, un altro tiri il freno”.

Sagan?

“E’ uno spettacolo. Meriterebbe la maglia di campione del mondo anche nel 2016-2017 ad honorem. Ci prova sempre: in volata, in gruppetto, in fuga, nelle tappe di montagna, in quelle miste, in quelle piatte, sprintando anche nei traguardi volanti. Personaggio, protagonista. E grandissimo corridore”.

Lei, qui, perché?

“Mi ha telefonato Fernanda, la nipote di Cesare Del Cancia. Mi ha invitato alla presentazione del libro su suo zio. Le ho promesso che sarei venuto. Ed eccomi. Quella del ciclismo è una grande famiglia, siamo un po’ tutti imparentati, come se fossimo nonni e nipoti, cugini di primo o secondo grado, padri e figli anche adottivi. Non ho conosciuto Del Cancia, ma l’ho incontrato, proprio qui a Pontedera, durante la tappa a cronometro del Giro d’Italia del 2006. C’erano anche Alfredo Martini, Franco Ballerini e Franco Vita. Che è qui con me, adesso”.

Che impressione le ha fatto?

“Un uomo brillante, semplice, genuino. Martini mi parlava di lui: e me ne parlava bene”.

Vi assomigliavate?

“Del Cancia non voleva fare il gregario. Perché, a qualcuno piace farlo? In questo eravamo uguali”.

Del Cancia sosteneva di avere vinto una Milano-Sanremo, quella del 1937, grazie anche allo zabaione preparato da sua madre.

“A 60-70 anni di distanza l’alimentazione dello sport si è evoluta. Ma se penso che due giorni prima della vittoria all’Olimpiade 2004 non ho resistito alla tentazione, sono entrato da McDonald’s, sponsor olimpico, e mi sono fatto un panino con l’hamburger, allora significa che il cibo ha una sua grande importanza anche per il valore affettivo, come nel caso di Del Cancia, o di evasione, come per me”.

Bettini, e la bici?

“Il Giro d’Italia, con la Mediolanum, cento chilometri al giorni, mi ha tirato a lucido. Poi ho fatto una settimana con un gruppo – 45 ciclisti – per ‘La Gazzetta dello Sport’, all’Isola d’Elba. Riuscivo a tenerli tutti a bada, tutti tranne uno: Francesco Moser. E’ un diesel: prende un’andatura, un ritmo, una velocità, e va”.

Invece lei?

“Mi piace pedalare, ma dopo 28 anni di ciclismo non ho più voglia di fare fatica. Mi piace sgambare, sgobbare, sudare, insomma, pedalare per tre ore, poi però mi piace anche tirare il fiato, dare uno sguardo ai paesaggi e ai panorami, e fermarmi in un bar”.

I suoi ulivi?

“Nel 2014 si sono presi un anno sabbatico, e non si è fatta un’oliva. L’anno scorso è andata bene come quantità e benissimo come qualità. Adesso le olive ci sono, ma bisogna che il tempo non faccia le bizze”.

Marco Pastonesi

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