Il combattivo Simone Zandomeneghi, classe 1997 di Feltre (BL), appartenente al team continental Iseo Rime Carnovali, ci racconta della sua passione per la bicicletta e della sua tanta voglia di fare in gara, che a volte però lo tradisce dovendo gestire al meglio le forze, soprattutto mentali.
Per lui diversi piazzamenti nella passata stagione, anche in gare importanti come il Piccolo Giro di Lombardia, ove giunse settimo lo scorso mese di ottobre, e nella seconda tappa del Giro del Friuli Venezia Giulia ove ottenne un decimo posto, spesso presente nelle fasi salienti della corsa che non sempre riesce a concretizzare.
Quali sensazioni hai in questo avvio di stagione e a cosa ambisci?
“Le sensazioni dell’avvio di stagione sono state davvero ottime. Le corse dure fatte fino ad ora sono state solamente due,il Laigueglia e la Cuneo – Imperia, ma in entrambe mi sono sentito bene. L’inverno è trascorso senza intoppi: sono riuscito a fare tutto alla perfezione e prepararmi come si deve per una stagione importante come quella che mi attende, e sono davvero felice di questo. Le mie ambizioni sono quelle di riuscire a dimostrare su strada tutto il mio valore e cercare di fare quel salto nella grande categoria, che per me rappresenterebbe più di un sogno. Molti dicono di voler diventare professionisti ma non sembrano veramente convinti di volerlo davvero. Io invece sto cercando di fare tutto quello che posso per diventare professionista: amo con tutto il cuore questo mestiere e poterlo fare per lavoro sarebbe una realizzazione personale. Un’altra ambizione personale è quella di alzare finalmente le braccia al cielo… visto che sono da sempre “orfano” di vittorie”!.
Tu hai qualità da scalatore e prediligi percorsi selettivi, ma la salita ideale per te qual’ è?
“Esatto, i percorsi più selettivi e con percorsi molto esigenti sono quelli che preferisco. Più la corsa è dura e più sono motivato. Le salite che preferisco sono quelle con un chilometraggio un po’ elevato, almeno 3-4 chilometri e con pendenze impegnative. La mia salita ideale è una salita di 10-12 chilometri con pendenze tra 9-11% . In ogni caso riesco a difendermi bene anche sugli strappi più brevi; iI problema di questi è più che altro rischiare la vita per prenderli nelle prime posizioni”.
Il tuo punto debole come corridore?
“Forse la gestione mentale della tensione nei momenti decisivi della corsa. Nei momenti decisivi mi sale una sorta di blocco mentale e per una ragione o per l’altra mi trovo sempre, dopo la corsa, ad avere il rammarico di non aver fatto qualcosa che avrei potuto fare e che avrebbe potuto farmi ottenere un risultato. Un esempio stupido può essere quello che, molto spesso, se arrivo in un gruppetto, pur consapevole della mia scarsa velocità, prendo la volata sempre indietro e questo specie l’anno scorso mi ha precluso moltissimi risultati importanti”.
Quali impressioni hai avuto al Trofeo Laigueglia, la tua prima gara tra i professionisti?
“Partecipare al Trofeo Laigueglia è stata un’esperienza meravigliosa. Devo ringraziare, in questo senso, la mia squadra che si è impegnata molto per ottenere la licenza Continental e ci ha dato l’opportunità di parteciparvi. A livello di impressioni devo dire che come modo di correre mi sono trovato molto a mio agio. Rispetto alle corse dei dilettanti viene un po’ meno la gestione delle situazioni di corsa, cosa in cui la tensione spesso mi fa sbagliare: diventa sostanzialmente una gara di resistenza a chi molla più tardi. Questo aspetto mi è piaciuto un sacco. Poi è stato molto suggestivo correre al fianco di corridori che fino a pochi giorni prima vedevo così distanti da me solo in televisione, davvero una bella emozione. Naturalmente la differenza a livello di ritmo si è fatta sentire davvero tanto,però a me piace convivere con la fatica, per cui ho in un certo senso apprezzato anche questo aspetto”.
L’anno scorso sei stato protagonista in diverse occasioni, sei piuttosto combattivo in gara, più volte eri nella fuga giusta ma poi cosa è mancato?
“Come accennavo prima, la cosa che mi è mancata più di tutte è stata la gestione del finale di corsa. La tensione prende il sopravvento e mi blocco e questo è davvero un problema per me, perché mi impedisce di ottenere bei risultati anche se a volte rientravano nelle mie corde. L’anno scorso sono raramente uscito dai primi 20 alle corse a cui ho partecipato, però mi è sempre mancato quel qualcosa in più che mi permettesse di arrivare a lottare per la vittoria. Questo problema me lo porto dietro davvero da molto tempo: già da juniores avevo ottenuto qualcosa come 15 piazzamenti nei primi 5 senza mai riuscire a vincere.”
Dici che “niente è impossibile”, per cui al Giro d’Italia under 23 punti a una vittoria di tappa o a fare classifica generale?
“Per il Giro under 23 mi pongo un solo obiettivo personale: quello di arrivarci con la migliore condizione possibile per essere il più competitivo possibile. Il mio sogno sarebbe quello di fare una buona classifica generale e mi preparerò per questo; purtroppo però sono consapevole che le insidie sono sempre dietro l’angolo, specie con lo sterrato inserito quest’anno, per cui non escludo di poter diventare un “cacciatore di tappe”. Per questo motivo non mi pongo obiettivi precisi, l’anno scorso ho partecipato con parecchie aspettative nella mia testa: alla 2^ tappa sono caduto riportando notevoli abrasioni e un taglio sul ginocchio che avrebbe richiesto i punti, ma ho continuato e alla vigilia della 6^ tappa ero il 4° italiano in classifica generale. Poi mi è venuto un virus intestinale e ho dovuto abbandonare la corsa. Queste delusioni mi sono pesate per molto tempo dopo il Giro e ho capito di dover cambiare approccio mentale. Semplicemente arrivare con la migliore condizione possibile e con la voglia di tirare fuori tutto me stesso e godermi al massimo la splendida esperienza che il Giro rappresenta per un corridore; tutto il resto verrà di conseguenza”.
Che cos’è per te il ciclismo oltre che uno sport?
“Per me il ciclismo non è solo uno sport, è uno stile di vita e personalmente ritengo che sia il più bello stile di vita che ci sia. Richiede sicuramente molti sacrifici che io non vedo come tali, non mi pesano, ma regala anche tantissime soddisfazioni se uno sa dove cercarle: semplicemente portare a casa un bel allenamento, scollinare una salita dopo aver concluso un lavoro, vedere i piccoli miglioramenti settimana in settimana, sono delle cose che mi fanno amare questo sport. Inoltre il ciclismo è una metafora della vita vera. Non ottieni nulla se non ti impegni al massimo, devi imparare a rialzarti nei momenti difficili ed insistere nella consapevolezza che prima o poi tutto quello che semini, in un modo o in un altro, torna indietro”.
Da dove nasce la tua passione per il ciclismo?
“E’ stato mio papà a farmi salire per primo su una bici da corsa quando’ero piccolino, a 8 anni. Da allora mi ha trasmesso la passione per questo sport e da quel momento non l’ho più lasciata. La passione per la bici è poi diventata una cosa di famiglia: anche mio fratello corre in bici, è under 23 e corre nella mia stessa squadra, e anche i miei cugini hanno corso per molto tempo, uno di loro, Alex Turrin, è stato anche professionista per due anni. Tutto questo è nato dalla passione che mio papà ha trasmesso a tutti”.
Un aspetto che non ti piace del ciclismo moderno e uno invece che ti piace…
“Un aspetto che non mi piace del ciclismo moderno è il modo in cui funziona il sistema: purtroppo preclude a molti la possibilità di maturare con calma. A 22 anni se non sei un fenomeno sei costretto a smettere. Devi fare le cose in fretta e sperare di non avere intoppi. Mentalmente questa cosa pesa. L’aspetto che mi piace del ciclismo moderno è la possibilità di fare le cose secondo un metodo scientifico e avere la possibilità di misurare i propri miglioramenti. Poter accedere alle varie conoscenze che stanno dietro alla performance sportiva è un aspetto che mi affascina davvero molto. L’aspetto che più mi piace però è proprio quello che unisce il ciclismo moderno con quello passato, e quello che sarà il ciclismo del futuro: la soddisfazione di ottenere un risultato, un miglioramento, un traguardo personale, o semplicemente di arrivare in cima ad una salita, con il sudore che gocciola dalla fronte, e guardarsi intorno ad ammirare il paesaggio”.
C’è qualcuno in particolare che vorresti ringraziare in questo tuo percorso di crescita come atleta?
“Ci terrei molto a ringraziare personalmente Daniele Calosso, il mio Direttore Sportivo, che rappresenta un punto di appoggio e di riferimento davvero importante per me: sono sicuro che senza di lui non sarei lo stesso corridore che sono ora. Inoltre lavora giorno e notte per non farci mancare niente e far sì che tutte le cose siano al loro posto affinchè noi corridori possiamo stare tranquilli e rendere al meglio, e mi sembra più che giusto dargliene merito!”.