Un’avventura lunga vent’anni: intervista ad Angelo Citracca

Angelo Citracca è una delle figure storiche del movimento ciclistico italiano.

 

Angelo Citracca nasce a Roma il 6 febbraio 1969. Sperimenta il ciclismo sin da bambino grazie al papà che, correndo negli amatori, la domenica lo porta a vedere le gare. Citracca, però, non resterà a lungo un semplice spettatore. Costanza e sacrificio lo porteranno a entrare nel mondo professionistico e a vestire casacche note: Roslotto, Navigare e Kross, tutte nell’ultimo decennio degli anni ’90. La parentesi è breve, quasi un’anticipazione di quella che di lì a poco diventerà un’attività pluriennale di successo. Parliamo dell’attività manageriale che l’ex corridore romano, residente in Toscana, porta avanti sin dai primi anni duemila. Dal settore giovanile al professionismo con un obiettivo ben dichiarato: crescere ragazzi che possano aspirare a ritagliarsi un ruolo di rilievo nella scena ciclistica italiana e internazionale. Alcuni giovani si sono svelati al grande pubblico proprio con la divisa giallo-fluo del team Professional diretto dalla coppia Angelo Citracca-Luca Scinto: la Neri-Selle Italia-KTM. Alle soglie del 2020, la stagione della riforma del settore Professional, Scinto e i suoi uomini si trovano a dover pensare a nuove strategie per sopravvivere ai cambiamenti.

Angelo, partiamo proprio dagli inizi: il tuo ingresso nel ciclismo è avvenuto nella veste di atleta. Ci racconti quegli inizi? Com’era il Citracca ciclista?

È stato il classico approccio alla bicicletta. Ho iniziato dai “giovanissimi” con l’obiettivo che hanno tutti i ragazzi: diventare professionista. Di categoria in categoria: giovanissimi, esordienti, allievi, juniores, Under 23 e poi finalmente professionista. Per me fu ovviamente un traguardo importante: mio papà correva negli amatori, mi appassionai vedendo le sue gare. Il mio idolo era Francesco Moser: in quel periodo era l’idolo di tutti i bambini. Da professionista ero un corridore che andava bene su percorsi nervosi: non pianeggianti ma neppure eccessivamente duri. Ricordo che puntavo sempre al campionato italiano. Lì si assegna una maglia che si porta tutto l’anno, per questo fare bene è sempre molto importante. Tanto difficile quanto importante. Ho corso fra i professionisti dal 1992 al 1998, ma purtroppo non ho colto molte soddisfazioni. Sono stati più gli infortuni e le problematiche fisiche che i risultati. Soltanto nel 1997 disputai un bel campionato italiano. Se devo essere sincero, ripensando alla mia carriera da ciclista ho più ricordi negativi, legati a problematiche varie, che ricordi belli.

Nel 1998 decidi di appendere la bicicletta al chiodo. Che progetti avevi?

L’idea era di restare comunque nel mondo del ciclismo. Ho creato da subito una piccola squadra di allievi, con loro ho trascorso un anno, poi ho seguito per due anni una squadra juniores e da lì abbiamo fatto nascere una squadra Under 23. Proprio in quel periodo ricordo che prendemmo Giovanni Visconti: vinse subito il campionato italiano ed il campionato europeo. Nel 2005, invece, Dmytro Grabowski vinse con noi il mondiale. Pochi anni dopo, nel 2008, entrai in contatto con questa azienda ucraina, Isd, che l’anno successivo ci permise di creare una squadra professionistica. È stato un percorso di crescita: dal 2000 al 2009 abbiamo passato di anno in anno una categoria sino ad arrivare al professionismo. La mia idea è sempre stata quella di costruire una squadra cercando di creare un percorso di crescita. Ho sempre fatto il manager, mai il direttore sportivo. Sin dai più giovani.

Quanto ti ha aiutato la tua carriera professionistica nell’interpretazione del tuo ruolo di manager del team?

Molto, direi, perché non c’è nulla come l’aver praticato una disciplina per rendersi conto dei punti di forza di un ragazzo o dei suoi margini di miglioramento. Ma questo, purtroppo, non basta: non è mai semplice prendere un corridore. Penso, per esempio, a quei ciclisti che sanno di essere forti e vogliono una squadra alla loro altezza, più importante della nostra. Non è detto che il corridore che ci piace e che seguiamo da tempo accetti di venire a correre da noi.

Ecco la vista dalla cima del San Baronto, collina toscana frequentatissima dai ciclisti nonché cuore pulsante della Neri-Selle Italia-KTM. @Angelo Citracca, Twitter

Qual è stato il corridore che avete scoperto e che vi ha dato le maggiori soddisfazioni?

Noi mettemmo gli occhi su Giovanni Visconti quando era ancora tra i dilettanti. Non rendeva benissimo a causa di diversi problemi, ma quando arrivò da noi iniziò subito a ottenere risultati. La sua prima vittoria al campionato italiano fu bellissima. Lo portammo al professionismo, insomma. Anche Dmytro Grabowski ci ha dato delle grosse soddisfazioni. La vittoria del mondiale fu però cancellata dalla sua dipendenza dall’alcool, dipendenza che purtroppo lo portò al decesso. Un grosso dispiacere. Complessivamente potrei dire che questi sono i due corridori che più mi hanno impressionato. Purtroppo, accanto alla soddisfazione, c’è anche tanta delusione per l’epilogo umano della vicenda del ragazzo ucraino.

Qual è il ruolo del team, dallo staff al manager, in vicende così delicate? Cosa si può fare?

Si cerca di stare vicino al ragazzo in ogni modo possibile. Si cerca di stare con lui, con gli amici e con la famiglia. Si prova a riportare il ragazzo in un ambiente a lui familiare, a casa o vicino casa. Allo stesso tempo si cerca anche di controllarlo, nonostante le difficoltà siano enormi: le famiglie spesso sono distanti o non ci sono proprio. E quindi, per quanto si possa essere attenti e professionali, va a finire che qualche volta lo perdi di vista; e quando lo perde di vista, il ragazzo ne combina di tutti i colori. Sono giovani, vengono via da casa giovanissimi, non hanno la famiglia vicino ma iniziano a vedere i primi guadagni. È ciò che accade nella vita di tutti i giorni: quando la famiglia non riesce a instaurare un rapporto di un certo tipo con il ragazzo, è possibile che lui compia scelte sbagliate.

Prima hai parlato di Giovanni Visconti. È stato con voi da giovanissimo, poi ha fatto tanta strada: Movistar prima e Bahrain-Merida poi. Dall’inizio della stagione è tornato da voi. Quanto è cambiato Giovanni in questi anni?

Noi lo abbiamo avuto dal 2003 al 2011, da dilettante a professionista. Successivamente ha scelto di andare in team World Tour e le strade si sono separate. In quel periodo è stato più difficile mantenere il rapporto umano che abbiamo sempre avuto con lui. L’anno scorso non si trovava più alla Bahrain-Merida e ha optato per il ritorno nella nostra squadra. Noi lo abbiamo accolto volentieri. Devo dire che il corridore è rimasto uguale: sembra il solito ragazzo, affettuosamente direi il solito bambino, che era nel 2003.

Dopo sette stagioni nel World Tour, Giovanni Visconti è tornato nella squadra che lo ha consacrato. ©Neri-Selle Italia-KTM, Twitter

Com’è il rapporto tra Visconti e i giovani della squadra?

Giovanni ha davvero un bel rapporto con i giovani in squadra: si mette al loro livello, scherza, ride, li coinvolge. È molto bravo a far gruppo. Non fa sentire in alcun modo la differenza di età e di esperienza. Devo dire che non è sempre scontato che funzioni così: negli anni scorsi abbiamo avuto atleti di una certa importanza che spaccavano la squadra. Alcune volte gli atleti di esperienza trattano in malo modo i giovani, non dico che li bullizzano ma quantomeno li deridono, li prendono in giro oppure li portano sulla cattiva strada. Dicono loro di uscire, di divertirsi, di non ascoltare il direttore sportivo, ed il ragazzo sentendoselo dire da un ciclista di esperienza ha la tendenza ad ascoltare. Sono insegnamenti sbagliati. Bisogna dirlo a voce alta. Non capiamo neanche noi perché si creino queste situazioni, se sono cose fatte apposta per portare il giovane sulla cattiva strada oppure se è lo stesso atleta esperto a fine carriera a non fare più la vita da atleta: e quindi, in questo caso, i suoi consigli rispecchierebbero solamente il suo modo di vivere l’attività ciclistica.

In questi casi come agisce un manager o un direttore sportivo?

Noi cerchiamo sempre di richiamare il giovane a fare il suo dovere, vivendo una vita da sportivo. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, anche noi spesso non siamo messi nelle condizioni di agire con nettezza come sarebbe doveroso fare in certe situazioni. I corridori, a mio avviso, sono troppo protetti dall’UCI. Nel calcio si possono prendere provvedimenti pesanti per cattiva condotta, nel ciclismo se agisci con multe sullo stipendio del corridore senza le spiegazioni del caso c’è il rischio che l’atleta si rivolga all’UCI e tu debba anche rimborsare la multa. Io continuo a credere che potrebbe essere utile una maggiore libertà di azione, in casi come questi, sugli stipendi. Il corridore potrebbe rimettersi prima sulla giusta strada. In molti casi, però, non siamo supportati dalle regolamentazioni. Sia chiaro: qualche taglio si può fare, il punto è che i regolamenti rendono sempre più difficile intervenire. Facciamo un esempio?

Prego.

Prendiamo il caso dello scarso rendimento, ovvero quando il corridore non ottiene i risultati che dovrebbe ottenere. Bisogna fare delle distinzioni, ma in alcuni casi questo dipende anche dallo scarso impegno del ragazzo. Ecco, con le normative odierne non si può agire a meno che il corridore non si presenti alle corse. Basta che il corridore parta: anche se non ottiene alcun risultato noi non possiamo fare nulla. A me non sembra giusto: parliamo di stipendi importanti, di milioni di euro. C’è da dire che è anche difficile stabilire quando intervenire. Torniamo alle distinzioni che ho fatto: un conto è se ci sono problemi fisici o altre problematiche, ben diverso è se l’atleta si presenta in gara fregandosene della stessa. Sta di fatto che la regolamentazione tratta in egual modo le due fattispecie che in realtà sono completamente diverse. Bisogna sempre sperare nel buon senso del corridore: impegnarsi dovrebbe essere prima di tutto un loro interesse. Se fanno bene, si capisce, si guadagnano il rinnovo. Ma cosa accade? Accade che atleti che hanno strappato contratti pluriennali e profumati si rilassino dopo un primo anno pieno di risultati: durante il secondo o il terzo vanno piano, non si allenano, si staccano. Ora, perché non si deve poter intervenire su stipendi da trentamila euro al mese?

Il rapporto tra Filippo Pozzato e la squadra di Angelo Citracca e Luca Scinto non si è chiuso nel migliore dei modi. ©Filippo Pozzato, Twitter

Abbiamo parlato di atleti che ti hanno dato grandi soddisfazioni, passiamo ora alle delusioni.

Negli ultimi due anni abbiamo avuto in squadra Filippo Pozzato. Ci aspettavamo potesse fare ancora bene, invece sono state delle brutte annate dal punto di vista dei risultati. È stata una delusione. Con noi lui aveva già disputato una grande stagione nel 2012 e pensavamo potesse ripetersi: non è andata così. È stata una scelta sbagliata che probabilmente non andava presa: l’ho presa io e me ne assumo la responsabilità. Forse sarebbe stato meglio se ognuno avesse preso la propria strada. L’anno scorso è stata una delusione anche Jakub Mareczko. A fine anno lo abbiamo lasciato libero ed è andato via. Le delusioni sportive portano ad altre scelte, ad altri corridori.

Quest’anno dobbiamo parlare di una delusione più importante: il mancato invito al Giro d’Italia 2019.

Oltre ad essere una delusione, è anche un danno a livello economico. Gli sponsor iniziano a tagliare ed è tutto più complesso. Sono mazzate che capitano. Bisogna prenderle, stare zitti e rimettersi al lavoro. Io non sono uno che replica con comunicati o simili. Non c’era la certezza di andare al Giro d’Italia, abbiamo lavorato bene e a mio avviso meritavamo di andarci, ma così non sarà. Si riparte, si cerca di “tenere la barca in pari” per quest’anno (sia a livello economico che sportivo), si cerca uno sponsor importante per allestire una buona squadra e si spera di avere l’invito per il prossimo anno. Se non andrà così vedremo altre soluzioni: un calendario parallelo, magari, ma di livello.

Quando hai avuto la notizia? Ritenete di avere delle colpe? Di aver sbagliato qualcosa?

In sostanza lo abbiamo saputo sei giorni prima che la notizie venisse diffusa. No, non credo ci siano stati errori da parte nostra. Nel parlare con alcuni dirigenti di RCS, e sottolineo “nel parlare”, mi era stata data una certa fiducia sul fatto di poterci essere. Dal venerdì al lunedì le cose sono cambiate. Sono stato chiamato e mi è stato detto che erano state prese altre decisioni: alcune commerciali per quanto concerne la Israel Cycling Academy e la Bardiani-CSF; poi chi aveva vinto la Coppa Italia, ovvero l’Androni Giocattoli-Sidermec, non poteva mancare; infine, chi era già stato escluso per due anni e non poteva essere lasciato di nuovo fuori, la NIPPO-Vini Fantini-Faizanè. Insomma, alla fine siamo rimasti a casa noi. A malincuore ma va accettato. Non c’è nessun diritto ad essere invitati. Si sta zitti e si spera di essere invitati il prossimo anno.

David Lappartient, presidente dell’UCI. ©David Lappartient, Twitter

Parlando del prossimo anno non possiamo non parlare della riforma che riguarderà da vicino le Professional. Qual è il tuo punto di vista?

Me lo chiedono in tanti. Io casualmente do sempre la stessa risposta che ha dato Mauro Vegni: ad oggi non si sa ancora bene come sia fatta la riforma, quindi è molto difficile parlare di qualcosa che non si conosce bene. Una cosa sembra certa: due wild card verranno tolte. Dunque, o ci saranno due squadre World Tour in più o verranno premiate le prime due professional della graduatoria a squadre. La direzione è quella: da diciotto World Tour si passerà a venti oppure si resterà a diciotto con l’aggiunta di due inviti automatici alle squadre che hanno diritto per merito. Le squadre che avranno diritto di fare i grandi giri saranno venti. Restano due posti che probabilmente verranno presi da paesi organizzatori. Così credo io. L’unica strada possibile sarebbe quella di allargare le wild card: secondo me bisognerebbe arrivare a ventiquattro, forse anche a venticinque squadre. Quando correvo io eravamo duecento corridori, senza casco e con altre bici: non vedo perché ad oggi non si possa tornare a essere duecento corridori in gruppo. Così si tornerebbe ad avere quattro wild card da assegnare. Non condivido la posizione di chi sostiene che aumentando il numero di corridori in gruppo diminuisce la sicurezza e ci sono più incidenti. In fondo sarebbero sedici atleti in più in gruppo. Gli incidenti non sono causati da questo.

Da cosa sono causate le cadute?

Raramente le cadute si verificano quando il gruppo è compatto. Avvengono, invece, in situazioni di gruppo spezzato in tronconi o con stradine strette. Anche nel caso della tragedia di Wouter Weilandt al Passo del Bocco al Giro d’Italia eravamo in una situazione di gruppo allungato in fila indiana. Il rischio è nelle strade di montagna o in strade caratterizzate dalla presenza di muri e muretti come la Liguria. In questi casi essere in duecento o mille cambia poco. Sia chiaro: è giusto fare questi percorsi. È giusto fare percorsi particolari perché il ciclismo ha bisogno di spettacolarità che attiri la gente. Ben vengano le strade bianche, ben venga la Liguria o lo Zoncolan. Però rendiamoci conto anche del fatto che dieci o venti corridori in più non spostano niente, almeno da questo punto di vista. Per questo se si ampliano le Wild Card, a mio avviso, non si creano più rischi. Secondo me dovremmo creare un’associazione forte di squadre Professional per arrivare da ventidue a ventiquattro team. Così si risolverebbe senza molti problemi il discorso della riforma. Nel 1998, come dicevo, non avevamo casco e freni a disco ed eravamo di più in gruppo. Oggi, dato che alla sicurezza ci si sta ancora più attenti, non capisco quale sia il problema. Il regolamento viene cambiato in continuazione, ma non so con quali vantaggi.

Ti sei chiesto come mai questo ragionamento non venga fatto ai piani alti dell’UCI?

Per un motivo molto semplice: perché i vertici sono persone che non hanno mai corso in bici e quindi non possono capire certe dinamiche. Con tutto il rispetto per Lappartient e Di Rocco, ovviamente, ma la realtà è questa. Loro credono che per aumentare la sicurezza basti diminuire il numero di corridori. Per l’amor di dio, meno si è e meno rischi ci sono. Analizzando le morti, però, ci si rende conto che in quei frangenti il gruppo stava attraversando zone particolari: tratti stretti di discesa con le rocce da una parte e un dirupo dall’altra, per dire. Com’è lì il gruppo? In fila indiana. Ripeto: sono percorsi da fare. Ma consapevoli che il rischio è nel percorso, non nel numero di corridori in gruppo.

La Neri Sottoli al Giro d’Italia 2014 che partiva da Belfast. @Angelo Citracca, Twitter

I direttori sportivi e i manager si sono già espressi su queste tematiche?

Sì, qualche settimana fa c’è stata una riunione in Lega e a breve, credo, verremo richiamati per parlarne. Ci sarà sicuramente qualche altra riunione, ci sarà qualche novità, qualcosa verrà creato. Come hanno detto Savio e Reverberi, qualcosa bisogna fare perché si rischia davvero la chiusura di diverse squadre. Non a breve. In un periodo di breve termine tutti cercheranno di resistere, di sopravvivere, di portare avanti la squadra. Se però non cambierà nulla entro il 2022 o il 2023, ci sarà veramente il rischio di perdere diverse squadre. In questo arco di tempo bisognerà creare una lega di squadre Professional per farsi sentire e per essere tutelati. Però tutto può essere: magari alle prossime elezioni cambia il presidente e viene fatta una nuova riforma, diversa. Aspettiamo. A me piace parlare con le carte in mano.

Credi che la soluzione che tu prospetti possa essere condivisa anche dagli atleti?

Ma certo. Hanno corso così fino a due anni fa. Franco Ballerini ha vinto la Parigi-Roubaix correndo senza casco sul pavé: di cosa stiamo parlando? La strada è quella. Poi bisogna essere realisti: ovviamente se tutti gli anni aumenta la richiesta e aumentano le squadre, non si può allargare all’infinito. In questo momento, però, mi sento di dire che quella che ho prospettato potrebbe essere una soluzione. È un momento particolare. I team francesi si sono trovati con tanti sponsor e grosse possibilità economiche, con Lappartient che vuole accontentare le pressioni delle squadre francesi: oltre ad AG2R e FDJ, nel World Tour vorrebbero anche Total Direct Energie, Arkéa Samsic, Cofidis e Vital Concept. Questo è un momento in cui gli sponsor stanno aumentando, ma non sarà sempre così: va a periodi, a volte ne entrano due ma ne escono altrettanti. Qualche anno fa si faceva quasi fatica a comporre il World Tour e ora guarda la situazione. Non vogliamo aumentare di tre le squadre in gruppo? Non vogliamo aumentarlo di due? Mettiamo una sola squadra in più, allora. Otto corridori in più che problema potranno mai creare?

Passiamo a questa stagione. Ci hai parlato di calendario parallelo al Giro: quali impegni credi possano essere fondamentali? Magari proprio per guadagnarsi l’invito al Giro d’Italia il prossimo anno.

Il calendario lo si fa a inizio anno e non è possibile inventarsi chissà cosa per sostituire il Giro. Sicuramente si cerca di impostare un calendario che accontenti tutti gli sponsor: noi abbiamo anche sponsor americani e austriaci, ad esempio. Cercare lo sponsor che non ha un interesse esclusivo per il Giro è importante: trovarlo e assecondare le esigenze ci permette di sopravvivere.

La Neri-Selle Italia-KTM non è stata invitata al Giro d’Italia 2019. @scinto luca pitone, Twitter

Il binomio Citracca-Scinto è uno dei più consolidati nel ciclismo. Forse il più duraturo.

Penso anche io. Noi correvamo insieme da dilettanti e da Under 23, poi siamo cresciuti insieme e abbiamo fatto del professionismo insieme. Quando ha smesso di correre, Luca ha fatto il direttore sportivo con noi alla Finauto: anno 2003, categoria Under 23, l’anno del campionato italiano di Visconti. Da lì è sempre stato con noi. Il nostro è un rapporto che va oltre l’aspetto lavorativo: è un rapporto di amicizia. Un rapporto simile a quello che avevamo con Franco Ballerini. Abbiamo creato anche squadre assieme. Crescendo, il rapporto è diventato sempre più serio, più maturo. Si va in bici assieme, si esce assieme con la famiglia, con la moglie di Franco. Un bel rapporto.

Pregi e difetti di Luca Scinto, Angelo.

È una persona molto passionale, dedica anima e corpo al proprio lavoro: e questo è sicuramente un pregio. Il difetto è che non si ricorda nulla: lo mandi a parlare con una persona, torna e non si ricorda ciò che gli è stato detto. Ma non perché non ha memoria. Perché non ascolta. Lui ti fa una domanda ma poi non ascolta quello che gli dici. Lui è nato per fare il direttore sportivo, io sono nato per fare il manager. Sono due ruoli che si compensano. A me non piace tante andare alle gare, andare in ammiraglia, lui invece ama moltissimo quello. A me piace fare un lavoro differente: cercare gli sponsor e costruire la squadra.

Potremmo dire che Citracca è la parte razionale e Scinto la parte passionale del duo?

Sì, possiamo dire così. Io mi sono costruito da solo dopo aver smesso: ho iniziato nella categoria allievi e da lì, passando per gli Under 23 e arrivando al professionismo, ho costruito una vera e propria attività professionale. Per me la squadra è una azienda. Sono il proprietario ed è come fosse la mia azienda. Luca è un amico, è una parte integrante della squadra, ma ha un ruolo diverso dal mio. È come se avesse un ruolo subordinato al mio, ma il bello è che entrambi consideriamo la squadra “nostra”. Lui non penserebbe mai di cambiare squadra ed io non penserei mai di cambiare direttore sportivo. È un lavoro fatto in simbiosi. Non serve nemmeno parlare di rinnovo del contratto: lui sa che sarà con noi anche nel 2020. Quando sarà il momento, firmerà il contratto e lo si depositerà all’UCI. Tra di noi funziona così.

Angelo Citracca insieme a Luca Scinto e Mattia Bevilacqua, che corre tuttora nella Franco Ballerini tra gli Under 23 e campione italiano tra gli juniores nel 2016. @scinto luca pitone, Twitter

Una cosa molto bella del vostro modo di lavorare è l’attenzione ai giovani: l’idea di crescere dei ragazzi e poi inserirli in squadra.

L’idea sarebbe proprio quella: seguire un ragazzo da juniores e da Under 23 per poi magari tirarci fuori un campione. Nel ciclismo attuale, tuttavia, è più complesso, perché il giovane è da subito invogliato a passare al World Tour. Da lì ovviamente si differenziano gli obiettivi. Ma il punto principale resta lo stesso: crescere i giovani e portarli al professionismo.

Se ci dovessi segnalare un bel profilo tra quelli che avete in squadra?

Antonio Tiberi, un ragazzo che corre con noi fra gli juniores. È un ragazzo laziale: è uno scalatore ma va molto forte a cronometro. Alla Nibali, per intenderci. Non so, però, se resterà con noi, perché la Trek-Segafredo è interessata a lui. Se la Trek-Segafredo gli metterà un contratto sotto gli occhi, farà fatica a rifiutare e noi faremo fatica a tenerlo con noi. Ma è giusto così. Noi facciamolo crescere, poi si vedrà.

Parliamo dell’inizio di stagione: siete partiti alla grande.

L’anno scorso abbiamo preso questo ragazzo, Simone Velasco, dalla Bardiani-CSF. Aveva tanti problemi fisici, ma noi ci abbiamo creduto facendogli un contratto biennale. Ha fatto benone fino ad ora: ha vinto a Laigueglia, ha vinto alla Coppi e Bartali. Un altro ragazzo giovane è Bevilacqua, preso dalla Zalf, aveva dei problemi ma sta venendo fuori. La squadra è partita bene. Abbiamo Visconti con qualche problema, malanni e bronchiti, ma appena prende un po’ di sole vedrete che farà benone. Lo aspettiamo già al campionato italiano.

Simone Velasco è una delle rivelazioni della prima parte del calendario italiano. ©Neri-Selle Italia-KTM, Twitter

Dove correrete nelle prossime settimane?

Durante il Giro d’Italia noi disputeremo il Giro di Albania, ma saremo anche in Cina e in Belgio. Poi faremo tutto il calendario di avvicinamento al mese di giugno: Lussemburgo, Lugano e Slovenia per preparare il tricolore a Borgotaro. È un appuntamento a cui teniamo moltissimo, è la gara che vorrei vincere quest’anno. Abbiamo diversi corridori che potrebbero fare benone: Velasco, Visconti, Zardini. Come dico sempre, partire ad ogni gara con la maglia tricolore dà sempre qualcosa in più. Conta moltissimo anche a livello di sponsor.

Che idea ti sei fatto della sicurezza stradale?

Ho ripreso ad andare in bici da pochi anni. È cambiato tutto. Troppo traffico, troppa gente e troppi telefonini in mano. La gente è distratta e quindi non fa attenzione ai ciclisti. Ho fatto quindici anni senza andare in bici e la situazione è indubbiamente peggiorata. Oggi avere un figlio che corre in bici è un bel pensiero. Speriamo che queste campagne sulla sicurezza cambino qualcosa. Bisogna combattere la distrazione: ci sono gli stupidi ma molti di più sono i distratti.

Siamo in chiusura, Angelo. Ma questo ciclismo, allora, è migliorato o peggiorato?

È migliorato nettamente sotto l’aspetto del doping. Con le nuove regole è un ambiente molto più pulito: quando correvo io era estremamente sporco. È migliorato in tutti i sensi, anche a livello organizzativo. In vent’anni sono migliorati i mezzi che abbiamo a disposizione, è migliorato l’abbigliamento, la struttura delle squadre, la tutela dei corridori, i contratti, le assicurazioni. Con l’ingresso di molti sponsor, il livello si è alzato ed è migliorato tutto. Purtroppo in Italia si dice che il ciclismo è peggiorato perché vinciamo meno, ma non è così. Non è il ciclismo italiano che è peggiorato, ma è il ciclismo nel mondo che è migliorato.

 

Foto in evidenza: @Angelo Citracca, Twitter

Stefano Zago

Stefano Zago

Redattore e inviato di http://www.direttaciclismo.it/