PETILLI. «SE DEVO SOGNARE...»

PROFESSIONISTI | 27/06/2017 | 07:18
Tornato a casa ha chiesto a papà Nico una pizza salmone e rucola, la sua preferita, l’ideale per recuperare al me­glio gli sforzi di un Giro d’Italia durissimo. E il giorno dopo, di nuovo in sella, perché per diventare grande non si può perdere tempo. Simone Petilli, professionista dal 2014 e alla sua se­conda esperienza in rosa, è stato una delle note più liete per il ciclismo italiano nelle scorse tre settimane. Il 24enne di Dervio, sul Lago di Como, in maglia UAE Fly Emirates ha dimostrato le sue doti di fondo e resistenza di promettente passista scalatore, chiudendo 26° nella classifica generale e al sesto posto nella speciale graduatoria riservata ai giovani, alle spalle di Jun­gels, Yates, Formolo, Polanc e De Plus. Ragio­nie­re, 178 cm per 63 kg, in sella dal 2008 di sé dice: «Il mio punto forte è che non ho paura di correre all’attacco e sono duro a mo­rire. Il mio difetto è che a volte sono troppo buono».
Cono­sciamolo meglio.

Rispetto al tuo primo Giro cosa è cambiato?
«Un anno fa non era andata bene, l’ultima settimana febbre e mal di gola mi debilitarono e misero ko. Nonostante ciò lo portai a termine e oggi ne sento i benefici, sia fisici che in termini di resistenza. Questa volta sono stato più re­golare. Col passare dei giorni di solito mi sento meglio. Quest’anno ci tenevo ad arrivare al Giro con una buona condizione per cercare di mettermi in mo­stra in qualche tappa. Con la squadra abbiamo programmato tutto bene, poiché io, Rui Costa e Polanc siamo stati in ritiro in altura nelle settimane precedenti il via della corsa e, dato che tutti e tre siamo andati forte, significa che il lavoro svolto ha dato i suoi frutti. Ri­spetto al 2016 mi sono divertito maggiormente e ho dimostrato in più di una occasione di poter stare davanti».

Quali sono stati i momenti chiave?
«Sull’Etna, nel primo arrivo in salita del Giro, sono riuscito a restare col gruppo dei migliori, mentre nella tappa del Blockhaus sono rimasto coinvolto nella caduta di Thomas e Lan­da, perdendo tempo. Nelle prime due settimane ho provato a curare la classifica, ho capito che dal trasferimento al traguardo non si può mai ab­bassare la guardia. Nel tappone con lo Stelvio fino all’ultima salita sono rimasto con il primo gruppo. Queste belle performance mi danno maggiore convinzione nei miei mezzi. E il Giro mi ha dimostrato che, crescendo ulteriormente, posso stare con i migliori. Ho ancora tanta strada da percorrere, ma la corsa rosa numero 100 ha rappresentato un passaggio importante nella mia crescita».

Al passaggio da casa tantissimo tifo, te lo immaginavi?
«La quindicesima tappa è transitata nel Lec­chese e la Consulta Sport del Comune di Dervio, su iniziativa dell’Unione Spor­tiva Derviese, ha voluto onorarmi predisponendo in centro paese un grande striscione. Il fans club è venuto a fare il tifo per me nelle tappe più im­portanti e la sera dell’arrivo a Milano, quando sono tornato a casa, ho trovato nella mia via un po’ di compaesani e tanti bambini ad applaudirmi. È stata una bella sorpresa».

Chi ti ha trasmesso la passione per le due ruote?
 «Papà, cicloamatore incallito, mi ha sempre incoraggiato. Si allenava spesso con me e fino a qualche anno fa in salita mi dava filo da torcere. Ultima­mente però preferisce guidare lo scooter per i miei allenamenti dietro motore, gli riesce meglio. Fin da piccolo ho sempre avuto la bici pronta per quando avessi voluto iniziare a correre. Dopo una piccola parentesi tra i giovanissimi, dove ho disputato solo qualche gara ma senza grande successo, mi sono ci­mentato in altri sport tra cui il basket, la kickboxing e lo snowboard. Fino a quando un giorno alcuni amici mi hanno invitato per una pedalata e mi hanno lasciato indietro: da quel giorno ho ricominciato ad allenarmi, e la vera attività l’ho iniziata poco più tardi, da allievo nel ciclocross. Una specialità che mi è servita molto e che ho continuato a praticare insieme alla strada fino alla categoria juniores, prima di dedicarmi esclusivamente alla bici da corsa».

La tua palestra?
«La salita della Valvarrone, più di 15 km di ascesa stretta e tortuosa, lungo la quale sfidavo gli amici di infanzia in mtb fino all’età di 15 anni. Vincevo praticamente sempre io. La prima ga­ra non la ricordo benissimo ma sicuramente ero più vicino agli ultimi che ai primi. La mia prima bici da corsa era verde e brillantissima, la trattavo co­me un’opera d’arte».

Altre tue passioni?
«Seguo il calcio e soprattutto l’Inter, squadra di cui sono tifoso. Mi diverto a cucinare, anche se noi atleti dobbiamo stare attenti alla dieta, e quindi cerco sempre ingredienti genuini a di­scapito di quelli magari più buoni. Poi quando sono a casa, soprattutto d’estate e tempo permettendo, mi piace girare per il Lago di Como, dove vivo, con una piccola ma comunque comoda barca a motore. Inoltre cerco di passare un po’ di tempo con la mia famiglia, visto che sono spesso in giro. Papà Nico, pizzaiolo, Mamma Auro­ra, infermiera, e mio fratello minore Davide, che ha corso fino alla categoria juniores per poi seguire la professione di papà. Mi piace guardare la tv, la mia serie preferita è The Big Bang Theory, il film che ho visto più volte è Rocky».

Il tuo idolo?
«Alberto Contador. Non ho mai avuto l’opportunità o forse il coraggio di par­largli. Mi sono trovato in fuga con lui alla Parigi-Nizza quest’anno, nella tappa in cui ha cercato di ribaltare la classifica. Io lavoravo per Ulissi, ma ero contentissimo di potergli dare una mano. In corsa ci siamo incitati a vi­cenda, mi sono emozionato. In ambito extraciclistico stimo molto Valentino Rossi».

Quali obiettivi ti sei posto per la seconda parte di stagione?
«Nel team di Saronni mi trovo molto bene, sto proseguendo un percorso di crescita graduale iniziato un anno fa alla Lampre. Dai compagni più esperti sto imparando davvero molto. Dopo la sfida tricolore stacche­rò un po’ per poi riprendere il la­voro andando in ritiro con la squadra. Spe­ro di poter correre la Vuelta, non ho mai disputato due grandi giri in un an­no, devo conquistarmi questa possibilità anche per capire fin dove posso arrivare. Finora ho dimostrato che in salita vado forte e ho un buon recupero, nelle tre settimane sono costante e competitivo, mi auguro quindi di ritagliarmi dello spazio nelle brevi corse a tappe. Per i grandi giri vedremo con la maturazione quanto lontano potrò arrivare. Di sicuro devo migliorare tan­to a cronometro e in generale crescere sotto tutti i punti di vi­sta».

Abbiamo parlato di Giro e Vuelta, ma il tuo sogno nel cassetto resta il Tour de France, vero?
«Sì, la maglia gialla è il top. La corsa rosa è incredibile per il tifo e la passione, è quella di casa. Il Tour resta però una spanna sopra tutto. Se devo sognare, punto al massimo».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di giugno
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