Ora Ferrara ha la testa a posto
Gli dicevano che era una grande corridore dal collo in giù. Ora il napoletano salito al nord per la passione del ciclismo ha trovato equilibrio e anche la Nazionale. Grazie a Boifava e Manzoni
Raffaele Ferrara in nazionale tra Paolini e Tonti.
Raffaele Ferrara in nazionale tra Paolini e Tonti.
MILANO, 17 dicembre 2006 - Dal collo in giù sei un grande corridore, gli dicevano. Cioè: non hai testa. Raffaele Ferrara obietta: «Meglio essere grande corridore dal collo in giù che non dal collo in su. Perché in bicicletta un pizzico di cervello basta, con un pizzico di gambe non vai da nessuna parte».
Vuole dire che in bicicletta non si pensa?
«I pensieri pesano, e spesso sono negativi, controproducenti. I corridori, infatti, non pensano. Prendiamo i velocisti. Sono svegli, ma non pensano. Se pensassero, il primo pensiero sarebbe tirare i freni, mettere in salvo pelle e ossa. Al massimo pensano a prendere la ruota giusta, ma è questione di attimi, meno, di lampi».
I passisti?
«Neanche i passisti pensano. Hanno un sacco di problemi, i passisti, a cominciare dal fatto che in salita si fanno staccare dagli scalatori e in volata dai velocisti. Il massimo della loro gloria è dover tirare 100 chilometri in pianura, a 50 all’ora. E che fai, ci pensi? Se ci pensi, ti spari».
E gli scalatori?
«Sono furbi, perché nella loro natura c’è sempre l’istinto a fare meno fatica possibile. E sono pazienti, perché aspettano il momento giusto per scattare. Ma neanche loro pensano. Anzi, sì. Hanno un piccolo pensiero fisso. Si chiedono sempre: ma quando finisce ’sta cavolo di salita?».
Dài, Ferrara.
«Ma no, giuro, è così. Prendiamo un gregario. Che fa, un gregario? Pensa a casa, dove magari ha dei problemi? Pensa all’albergo? Macché. Quando lui arriva è tardi ed è buio, e il massaggiatore è così stanco che è lui a stendersi sul lettino e tocca al gregario massaggiarlo».
Va be’, capitolo chiuso. Lo sa che, se fosse calciatore, e non corridore, a quest’ora sarebbe campione del mondo.
«Invece campione del mondo è Bettini. Io, poi, ero solo una riserva. Ma martedì si va tutti a Roma, c’è la premiazione al Coni, e approfitterò della circostanza per ripetere a Ballerini di farmi correre qualche altro Mondiale. Io porto buono».
Nel 2006 si è scoperto un nuovo Ferrara.
«Ero sempre io, davvero, anche se continuo a non vincere una corsa. Solo che per la prima volta non ho avuto problemi, dopo tre anni in cui me ne sono successe di tutti i colori. E’ per questo che preferisco il bianco e nero. E poi ho ritrovato l’entusiasmo che avevo da dilettante, quando correvo per la Trevigiani con Renosto. Devo ringraziare Boifava e Manzoni, team manager e direttore sportivo».
Perché?
«Boifava è come un padre: a volte può mettere soggezione, così grande e serio. E’ un gigante buono. Gli ho regalato la maglia azzurra della Nazionale, lui l’ha appesa nel suo studio, e ogni volta che vado da lui e vedo la maglia, mi vengono i brividi. Con lui ho firmato a vita, senza neanche bisogno di firmare. Abbiamo firmato con una stretta di mano, anzi, a essere sinceri, con un abbraccio, e quasi mi soffocava».
E Manzoni?
«Lui mi ha messo la testa a posto, senza neanche bisogno del gel. Dopo certe corse, mi prende da parte e m’interroga. "Lello, ma tu ce l’avresti fatta a entrare in quella fuga?" o "Ce l’avresti fatta a scattare?". E se io gli rispondo sì, lui m’investe: "E allora perché non ci provi?". Insomma, mi riempie di fiducia».
Si dice sempre che il ciclismo sia fatica. E si dice anche che i napoletani non vogliano fare fatica. Come la mettiamo?
«E’ vero, i napoletani sono un po’ sfaticati. Ci godiamo la vita, perché complicarsela con il ciclismo? E’ una questione anche di mentalità, o sopravvivenza, e magari anche sicurezza. Da piccolo, se dovevo andare a comperare il pane, mica prendevo la bicicletta. Aspettavo che qualcuno mi desse un passaggio sul motorino. E poi, dove non c’è lavoro, non c’è neanche l’idea della fatica. Ecco perché, a 17 anni, mio padre mi ha portato al nord e mi ha lasciato qui per pedalare, correre, insomma lavorare. Siamo emigranti, per lavoro e anche per sport. E poi...».
Continui.
«Il ciclismo è impegno, forza, onestà. Troppo facile prendere la pistola e sparare. Molto più difficile saltare su una bici e pedalare».
E adesso?
«Passerò le feste a casa, a Napoli. Anche durante le feste si spara parecchio, ma almeno a salve. Non le faccio gli auguri di buon Natale adesso: troppo presto, non vale. Le manderò un messaggio: 12 centesimi, me li posso permettere. E poi non voglio fare come certi grandi magazzini, che in febbraio mettono in vetrina le zucche per quella festa che si tiene in novembre. Come si chiama? Alloin?».