Visconti, "marine" per Bettini
Terzo anno da professionista, per Gianni si prospetta una stagione da gregario dell'iridato. Con un sogno: trascinarlo alla vittoria della Sanremo
Gianni Visconti alla ruota di Stefano Garzelli
Gianni Visconti alla ruota di Stefano Garzelli
MILANO, 5 dicembre 2006 - Se chiedete a Dio oppure — di questi tempi Dio ha ben altre richieste e impegni — a una Wikipedia qualsiasi, la risposta è: San Baronto non esiste, al massimo c’è San Baronzio di Pistoia. Ma se chiedete a un ciclista, la risposta è: San Baronto è il protettore di chi pedala, e il San Baronto è una collina fra Pistoia ed Empoli.
Giovanni Visconti, che gli amici abbreviano in Gianni e che il suo ex allenatore Luca Scinto ha soprannominato "marine", abita a San Baronto. "Finora in affitto, d’ora in poi in proprietà. Novantacinque metri quadrati, 15 anni di mutuo". Visconti, più che casa, a San Baronto ha messo le radici.
- Cominciamo da San Baronto?
"Trecentoquaranta metri di altitudine: niente per ossigenarti il sangue, molto per galvanizzarti l’anima. Da Lamporecchio sono 3,5 km, da Giugnano 4, da Casalguidi 6, da Vinci 11: tutte le strade no, ma almeno quattro portano a San Baronto. Poi ci sono quelle alternative, sterrate, da fare a piedi".
- Terzo anno da professionista.
"Una vittoria: la Coppa Sabatini, due mesi fa. La corsa perfetta, come se sapessi che avrei vinto io. E’ stata anche la prima corsa disputata da pro’, anzi, da stagista, con la De Nardi. Stavolta mi sono mosso all’ultimo giro, via con 16 corridori, il mio compagno Grivko ha tirato dai -5 fino all’ultimo chilometro, poi una curva a U, l’altro mio compagno Celestino è rimasto in testa fino ai 200 metri, a quel punto Gasparotto mi ha anticipato, ma io l’ho saltato e ho vinto. Bene, direi".
- Dopo di che ha cambiato squadra.
"L’avrei cambiata comunque. Giro di Svizzera, in giugno. Siccome Paolo Bettini aveva parlato bene di me, sono andato da lui e l’ho ringraziato. Lui mi ha proposto: 'Vieni a correre con me'. E io: 'Magari'. E lui: 'Io ti insegno e tu mi aiuti'. E io: 'Mi metto nelle tue mani, fa’ di me quello che vuoi'".
- Poi Bettini è diventato campione del mondo.
"Un’emozione violentissima. Ero a casa, davanti alla tv, con mia madre. Quando Bettini si è accodato agli spagnoli e a Zabel, ho esultato tirando un pugno. Conseguenze: rotto l’orologio e rotto il tavolino".
- Che cosa vorrà Bettini da lei?
"Vorrà che gli stia vicino, soprattutto nel finale delle corse. Un po’ come faceva Luca Paolini. Poi, magari, in certe corse di secondo piano, avrò anche via libera. E dovrò farmi trovare pronto quando mi dirà 'oggi tocca a te' oppure 'oggi ti tiro la volata'".
- Chiuda gli occhi e faccia un sogno.
"Milano-Sanremo, al fianco di Bettini in cima al Poggio, poi giù, via Roma, a 500 metri tiro a tutta, mi giro, e la maglia iridata è dietro di me".
- Continui, prego.
"Mi passa e vince".
- E se non la passa.
"Vinco io. No, scherzavo: Bettini mi passa e vince. Lui è il più forte, è il capitano".
- E’ l’esempio?
"Lo sarà. Finora l’esempio era mio padre. Siciliano, emigrato a Torino, 20 anni alla Fiat, a Torino ha conosciuto mia madre, napoletana, e si sono sposati. Mio padre ha sempre avuto la passione per lo sport: prima il calcio, poi il ciclismo. E’ serissimo. Fa anche la preparazione invernale: ginnastica, corsa a piedi, mountain bike, bici. Gli ho chiesto: 'Papà, ma se tu fai tutto questo, e sei un amatore, che cosa dovrei fare io, che sono un professionista?'".
- Che cosa le ha risposto?
"'Lo faccio per te. Per insegnarti il carattere, per darti la grinta'".
- Ci è riuscito?
"Io dico di sì. Non solo pedalo, ma a casa cucino, lavo e stiro".