L'inverno di Bazzana
"Correre è una missione"

Il 26enne di Cene ha cambiato squadra e dopo quattro anni tra Stati Uniti e Australia ora fa parte del Team Type 1: "Type 1 è il diabete di tipo 1, il più tosto. Il nostro obiettivo è incoraggiare tutti i diabetici a fare sport". E racconta: "Ho avuto un incidente in allenamento, solo il casco mi ha salvato la vita"

MILANO, 11 dicembre 2010 - Ce la dava lui, l’America. Racconti, descrizioni, confidenze. Viaggi, corse, scoperte. Per quattro anni Alessandro Bazzana, bergamasco di Cene, ha fatto l’emigrante: 10 mesi l’anno negli Stati Uniti, a correre, e un paio di mesi a casa, a ritrovarsi e a ritrovare.

Alessandro Bazzana, all'arrivo a Las Vegas
Alessandro Bazzana, all'arrivo a Las Vegas

E adesso, Bazzana?
"Ho cambiato squadra: dalla Fly V Australia al Team Type 1. Da un’attività soprattutto negli Stati Uniti e anche in Australia e Nuova Zelanda, a un programma soprattutto in Europa. E così torno a casa. All’inizio da mio padre, poi da solo. A 26 anni, dopo aver girato il mondo, si ha nostalgia di casa e voglia di autonomia".

Com’è andata quest’anno?
"Preparazione in Australia, prime corse in America, e subito vittorie. Alla fine cinque, più una decina di podi. Mai così bene. E da gregario: il mio compito era tirare le volata a Cantwell, il velocista australiano della squadra".

Sempre in volata?
"È diventata la mia specialità. Al Tour de Murrieta, a San Diego, stavo tirando per Cantwell: l’ultima curva a 90 gradi, mi passano in tre o quattro, all’interno, io non mollo all’esterno, continuo a sprintare per portare punti alla squadra, rimonto e vinco. A Las Vegas, l’arrivo non fra i grattacieli ma nel parcheggio di un centro commerciale nel deserto: l’ultima curva, gli altri all’interno, io all’esterno di un palo, rimonto e vinco".

E la vita?
"Abitavo a Boulder, Colorado, 1700 metri, a casa di Chad Boyle, ex compagno di squadra, con la moglie e i due figli. Pagavo l’affitto e ai bambini, due anni e mezzo e uno, facevo da baby-sitter. Gratis. Per amicizia e riconoscenza. In America funziona così: lo stipendio è garantito, poi però ti devi arrangiare. Dal prossimo anno Boyle farà il direttore sportivo della Fly V Australia, diventata la squadra satellite della Pegasus di McEwen e anche di Cantwell".

Tutto bene?
"Fino a settembre. Mi stavo allenando con un compagno quando una macchina ci ha tagliato la strada: lui è riuscito a schivarla, io no. Ci sono andato dentro di testa. Il casco mi ha salvato la vita. E se penso che, da buon italiano, anzi, da cattivo italiano, mettevo il casco soltanto in corsa e solo in America ho imparato a portarlo anche in allenamento, mi vengono i brividi".

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Testa dura.
"Siamo bergamaschi. Comunque è stato un miracolo. Mai perso conoscenza. Solo una contrattura ai muscoli tra spalle e schiena. Fermo 40 giorni, perso una decina di corse, causa in ballo, alla guida era un ventenne. E poi la riabilitazione: massaggi, fisioterapia, cure con uno strumento che si chiama Tecar e che produce calore, chiropratico, osteopata, e adesso di nuovo in bici".

Perché ha cambiato squadra?
"Sono stato conquistato dal progetto del Team Type 1. Type 1 è il diabete di tipo 1, il più tosto. E diabetico di tipo 1 è il fondatore, Phil Southerland, ex corridore. L’obiettivo è incoraggiare tutti i diabetici a fare sport: si può, si deve, aiuta. Su 21 corridori della prima squadra, sei hanno quello di tipo 1. E tutti quelli della seconda squadra, non a caso battezzata Team Type 2, hanno il diabete di tipo 2, cioè il diabete mellito, meno grave, che non si può guarire ma con cui si può convivere".

Squadra americana?
"Sede ad Atlanta, in Georgia, dove faremo anche il primo raduno, dal 15 al 22 dicembre. E una base anche in Italia, a La Spezia. La società è sponsorizzata dalla Sanofi Aventis Diabete, un’industria farmaceutica che fabbrica prodotti per i diabetici. L’Italia è considerata un obiettivo importante sia per la sua tradizione ciclistica sia come mercato industriale".

Correrete anche in Italia?
"Previsti 50 giorni di corse in Italia. Oltre al calendario nazionale, il primo obiettivo è partecipare al Giro d’Italia e alle altre corse Rcs. Poi anche al Tour de France. E sposando una filosofia: prima il comportamento, poi il risultato".

Cioè?
"Dobbiamo rappresentare uno stile di vita sano, pulito, ineccepibile. Siamo in missione. La squadra aderisce al passaporto biologico, organizza un sistema interno di controlli antidoping, chiede ai corridori di incontrare i malati di diabete e nelle interviste di spiegare il nostro progetto. Nel Team Type 1, oltre a me, ci sono anche Daniele Callegarin e Andrea Grendene, Rubens Bertogliati e il d.s. Podenzana. Il team manager è Vassili Davidenko, che aveva corso per la Polti".

Alessandro Bazzana ha 26 anni ed è bergamasco
Alessandro Bazzana ha 26 anni ed è bergamasco

Bazzana, che cosa porta con sé dai quattro anni americani?
"La convinzione che si può correre al 100 per cento puliti, anche ad alto livello. La fiducia in me stesso. Lo spirito di squadra: anche da gregario sono sempre stato apprezzato. E un buon inglese".

Dall’Australia?
"Crema solare anche quando piove: il buco nell’ozono sta proprio lì sopra. Le bistecche di canguro, magrissime. La guida a sinistra: me ne dimenticavo e quasi mi facevo ammazzare. L’oceano, le spiagge bianche, la natura. Puoi bere anche l’acqua piovana".

E dalla Nuova Zelanda?
"La prima corsa del 2010 è stato il Tour of Wellington: anche lì una natura incontaminata, più pecore che uomini e donne. Gli ultimi due giorni, però, la natura si è scatenata: pioggia e vento. Wellington è ’the windy city’, la città del vento. L’ultima tappa è stata cancellata".

E l’Italia, adesso, come le sembra?
"In crisi. In crisi di valori. Nello sport così come nella vita di tutti i giorni. Regna il pessimismo. Ma vedo la crisi come un’occasione per riflettere, come un’opportunità per ripartire. Sa che cosa dicono gli americani?".

No.
"I perdenti cercano le scuse, i vincenti le soluzioni".

Marco Pastonesi© RIPRODUZIONE RISERVATA

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